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Introduzione
al volume Altri fuochi (Crocetti 2005)
Alexandra Petrova è stata definita il poeta degli addii, perché
nelle sue poesie sa descrivere con forza momenti di distacco. Ma a considerarla
solo sotto questo aspetto si corre il rischio di ridurla a una scrittrice
elegiaca, anche se l’elegia è un buon punto di partenza
per capire la sua opera. La prima raccolta di poesie, Linea di distacco
(o Linea di decollo, Linia otryva), è particolarmente
ricca di elegie. Sono poesie intense e innovative, elegie di un Io che
si fa largo in una città tutta assorta nel suo passato (San Pietroburgo,
il più delle volte, anche se questa caratteristica si manterrà
anche per le future destinazioni della poetessa, Gerusalemme e Roma),
elegie per i morti o per la morte stessa. Una breve poesia giovanile,
non compresa nella presente traduzione italiana, unisce molti di questi
temi, ambientata com’è in un cimitero e con le sue contrastanti
descrizioni di quel che è vivo e di quello che è morto,
di quel che è presente e quello che è sul punto di svanire.
Ma Alexandra Petrova è anche un poeta della presenza e crea nelle
sue poesie un mondo che è un flusso di esperienza. Le sue poesie
possono dare l’impressione di essere composte estemporaneamente
e questa illusione d’improvvisazione, anche se deriva da una venerabile
tradizione russa, che si può subito associare all’Evgenij
Onegin di Puskin, possiede qualità nuove e imprevedibili. Queste
esplosioni di libertà all’interno dei componimenti assumono
forme molto diverse: a volte compaiono in quella che si presenta come
la linea narrativa della poesia, altre volte si manifestano nella forma
e nel ritmo della stessa. Non si tratta mai di una semplice contrapposizione
limite/eccesso, di struttura obbligata e forma più libera. Alexandra
Petrova crea piuttosto una logica acuta in cui libertà e costrizione
stabiliscono una sorta di dialogo tra loro. La tematica del movimento,
per esempio, può assumere una strana sensazione costrittiva con
allusioni all’esilio e alla fuga che contrastano con momenti di
calma. Il movimento pare sovradeterminato, il poeta viaggia verso Gerusalemme
o attraversa Roma come spinta da un’impellenza interiore. Ma la
libertà non potrebbe sembrare più pervasiva e ha il potere
di riequilibrare qualsiasi idea di viaggio non intrapreso per scelta.
La libertà viene anche evocata nella forma e nella dizione che
le poesie assumono. Alexandra Petrova può passare nella stessa
composizione da un riferimento ai pattini a rotelle a un altro all’inquietante
personaggio di Dostoevskij, Smerdiakov, da un’iniezione salvavita
direttamente al cuore di un personaggio di Quentin Tarantino o a un
esercito notturno di blatte. Questi repentini spostamenti referenziali
avvengono in modo del tutto naturale, non hanno niente di forzato e
Petrova elegantemente evita l’uso delle altre immagini o allusioni
come ovvi mezzi di collegamento tra opposti incongrui (per esempio,
i tubi di scarico della splendida poesia “Tarantino’s dremy
i dream’y” sono in realtà un’allusione scherzosa
alla funzione di scarico di tali elementi di raccordo?). E un gran numero
di immagini possono compattare in un’istantanea visiva questi
salti spiazzanti, come riesce a fare nella strofa “la ragazza
in pantaloncini Levi’s,” del poema Una rosa bianca su
un sudario.
In questa poesia la libertà della forma ha una diversa valenza
e, in un certo modo, ha un impatto ancor più forte di quello
ottenuto da poeti che cercano di essere più radicalmente innovativi
sulla pagina. Un gran numero delle sue poesie possono essere scandite
secondo la prosodia tradizionale, oppure adoperare il verso libero nel
modo in cui ci si aspetta che lo adoperino i poeti contemporanei più
esperti (e anche in Russia, ormai, cominciano a essere numerosi, nonostante
tutto, ma questo è un altro discorso). I componimenti di Alexandra
Petrova, sia che seguano la prosodia tradizionale, le rime, le divisioni
in strofe, oppure si dispongano sulla pagina in modo idiosincratico,
colpiranno in ogni caso il lettore per la loro originalità. Ce
ne sono alcuni che rinunciano alla punteggiatura e alle lettere maiuscole
anche per i nomi propri. Ce ne sono altri che inseriscono parole straniere,
specialmente inglesi, un’altra abile strizzatina d’occhio
all’Onegin di Puskin dove l’espediente è
usato con auto-ironico compiacimento. Con molta probabilità Petrova
introduce la parola inglese in una poesia più che altro per il
suo potenziale paronomastico come nel primo verso della poesia su Tarantino
o in “Dead can dance – bez_uvstvennyj stanet” (dalla
raccolta precedente) con la sua bella miscela allitterativa. Se a un
orecchio moderno questo sembrerà più vicino a Nabokov
che a Puskin, tanto meglio. Alexandra Petrova frequenta compagnie estetiche
eccellenti, scrivendo con eloquenza delle ultime parole di Leonid Doby_in
o mescolando con eleganza dosi di controllo e di bizzarria che di solito
vengono associate a Konstantin Vaginov. Poeta che, insieme ad altri
del gruppo d’avanguardia oberiu nell’epoca argentea della
letteratura russa, ha chiaramente influenzato la poetica di Petrova,
fornendole la riequilibrante leggerezza dell’ironia.
Anche in Vista sull’esistenza, titolo che gioca sul doppio significato
di Visto di soggiorno (Vid na zhitel’stvo) c’è
una grande libertà formale testimoniata dalla decisione della
poetessa di includere lunghi brani di prosa. Questi sono omessi in questo
volume di traduzioni ed è un peccato, perché anche la
prosa offre al lettore notevoli squarci sulle modalità di auto-costruzione
e sulla gamma tonale del poeta. Però i fruitori di questa antologia
saranno ben risarciti di questa perdita, perché sono qui presenti
componimenti successivi all’uscita di Vid na zhitel’stvo.
In tutta la sua opera e, in maniera particolarmente vivida negli esempi
qui raccolti, Alexandra Petrova crea paesaggi molto dettagliati di tutte
le città in cui è vissuta e della mente che ha assorbito
questi panorami. Gerusalemme è composta dalle lettere che la
poetessa ha ricevuto, dal legno dei suoi pavimenti e dei suoi alberi,
dal ricordo di posti in cui ha vissuto in precedenza, tutte cose minacciate
dalle fiamme. Quel che non può andare in fumo, però, è
il ricordo stesso che la città ha di sé, i messaggi che
continuamente i suoi luoghi di legno e pietra mandano nel mondo, ed
è così che la città parla alla poetessa nelle parole
della biblica Ruth, dicendole che anche Gerusalemme la seguirà
ovunque andrà. Queste poesie dimostrano come Alexandra Petrova
abbia sviluppato il genere elegiaco esplorandone i nessi con la poetica
del luogo e del ricordo, ma anche come l’abbia superato, approdando
a un’opera che sfida le attese del lettore con una rutilante esplosione
di immagini e di parole pirotecniche.
Come succede sempre quando ci si trova davanti un poeta di talento,
è difficile prevedere quale sarà la prossima tappa della
poesia di Alexandra Petrova; e la difficoltà è tanto più
reale per i poeti della sua generazione (quelli nati negli anni Sessanta)
che non per quelli che erano ancora bambini alla fine dell’era
staliniana e sono maturati poeticamente nel periodo tardo-sovietico
(e penso a poeti come Sergej Stratanovskij, Dmitrij Aleksandrovic Prigov
e Lev Rubinstein). Alexandra Petrova è più vicina per
età a Elena Fanailova, Aleksandr Skida e Dmitrij Volcek e, come
loro, ha già sperimentato diverse traiettorie nella sua breve
carriera. Fa parte di un emozionante revival della poesia russa, nato
da una fortunata convergenza di notevoli talenti poetici in una generazione
di scrittori che hanno avuto accesso a processi di crescita culturale
nel proprio paese ma anche altrove. La loro è un’opera
segnata da un massiccio ripensamento del ruolo della Russia nella cultura
mondiale e la cosa è quanto mai prepotentemente evidente negli
scritti di Alexandra Petrova. È un piacere vedere la sua opera
tradotta in italiano e sapere che il suo pubblico sarà così
ancora più vasto.
Stephanie Sandler
Traduzione italiana di Riccardo Duranti
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