Alternative
Méditerranée
Predrag Matvejevic'
Non so ancora
se il "Gruppo dei saggi", creato da Romano Prodi all'interno
della Commissione europea, continuerà o meno i suoi lavori
dopo la fine del mandato dell'attuale presidente. Il lavoro di
questo "gruppo", composto da circa quindici membri (fra
i quali tre provengono dall'Italia: Umberto Eco, Tulia Zevi e
il sottoscritto), ha prodotto un rapporto critico sulla situazione
presente del nostro mare, che sarà prossimamente pubblicato
in un libro, già accessibile in inglese e francese all'Internet.
Accanto a questo documento, frutto del nostro impegno comune,
ognuno di noi aveva varie idee personali sulla situazione del
Mediterraneo, una volta convergenti, un'altra abbastanza diverse
o contrarie. Vorrei esprimere brevemente alcuni dei miei suggerimenti.
L’unificazione dell’Europa ha conosciuto, realizzandosi,
i periodi in cui il Mediterraneo non poteva essere più
che una posta in gioco di secondo ordine. Nasceva un’Europa
separata dalla «culla dell’Europa». Le spiegazioni
che se ne danno, banali o ripetitive, non riescono a convincere
coloro ai quali sono dirette. Non ci credevano forse neanche quelli
che le proponevano. Le griglie di lettura sono diverse al Nord
e al Sud. La costa settentrionale del Mare Interno ha una percezione
e una coscienza differenti da quelle della costa che sta di fronte.
Ai nostri giorni le rive mediterranee non hanno forse in comune
che le loro insoddisfazioni.
Le decisioni relative alla sorte del Mediterraneo sono prese al
di fuori di esso o senza di esso: ciò genera una volta
frustrazioni, un’altra fantasmi. L’immagine che offre
questo nostro mare non è affatto rassicurante. Le frammentazioni
prevalgono sulle convergenze. La riva settentrionale presenta
un ritardo rispetto al Nord Europa, e altrettanto la riva meridionale
rispetto a quella europea. Tanto a Nord quanto a Sud, l’insieme
del bacino si lega con difficoltà al continente. Il mare
stesso assomiglia sempre di più a una frontiera che si
estende dal Levante al Ponente per separare l’Europa dall’Africa
e dall’Asia Minore. Tra l’Europa continentale e il
suo proprio Sud si crea di più in più un fossato,
tra le due sponde opposte un abisso. Non è davvero possibile
considerare questo mare come un vero «insieme» senza
tener conto delle fratture che lo dividono, dei conflitti che
lo dilaniano: Palestina-Israele, Libano, Cipro, Turchia-Grecia,
Balcani ed ex-Jugoslavia, Algeria e il Magreb, influssi di guerre
più lontane, quelle di Afganistan o d’Iraq ecc...
Il Mediterraneo è fatto da componenti varie che sfidano
o rifiutano le idee unificatrici.
Concezioni storiche o politiche si sostituiscono alle concezioni
sociali o culturali, senza arrivare a coincidere o a sostenere
l’una l’altra. Le categorie di civiltà o le
matrici di evoluzione non si lasciano ridurre ai denominatori
comuni. Gli approcci dalla fascia costiera e quelli proposti dall’entroterra
si escludono a vicenda o si contrappongono.Non esiste una sola
cultura mediterranea, una cultura comune che possa rendere più
omogeneo questo spazio: ce ne sono molte in seno ad un solo Mediterraneo.
Sono caratterizzate da tratti per certi versi simili e per altri
differenti. Le somiglianze sono dovute alla prossimità
di un mare comune e all’incontro sulle sue sponde di nazioni
e di forme di espressione vicine. Le differenze sono segnate da
fatti d’origine e di storia, di credenze e di costumi. Né
le somiglianze né le differenze sono assolute o costanti:
talvolta sono le prime a prevalere, talvolta le ultime. Il resto
è mitologia.
«Elaborare una cultura intermediterranea alternativa».
Mettere in atto un simile progetto, proposto da alcuni pensatori
(vicini ad alcuni membri del "gruppo dei saggi"), non
pare imminente. «Condividere una visione differenziata»
è meno ambizioso, senza essere sempre più facile
da realizzare. Tanto nei porti quanto al largo «le vecchie
funi sommerse», che la cultura cerca di riannodare, sono
spesso state rotte o strappate dall’intolleranza o dall’ideologia.
A cosa serve ribadire, con rassegnazione o con esasperazione,
le aggressioni che continua a subire il nostro mare ? Tante convenzioni
firmate, tantissime conferenze (fra le quali, nel 1995, quella
di Barcellona che prometteva molto e non teneva le suo promesse)
hanno fallito senza gloria. I termini di scambio e di solidarietà,
di coesione e di «partenariato» (questo neologismo
diventa un passe-partout delle commissioni internazionali) devono
essere sottoposti a un esame critico. Occorre prima di tutto liberarsi
da una zavorra ingombrante: ripensare le nozioni superate di periferia
e di centro, gli antichi rapporti di distanza e di prossimità,
i significati dei tagli e delle integrazioni, le relazioni delle
simmetrie a fronte delle asimmetrie. Certe concezioni euclidee
della geometria hanno bisogno di essere superate dinnanzi ai nuovi
coordinamenti e alle prospettive diverse.
Percepire il Mediterraneo partendo solamente dal suo passato rimane
un’abitudine tenace e in fine dei conti inutile. Questo
spazio ricco di storia è stato vittima dei storicismi.
La «patria dei miti» ha sofferto delle mitologie.
Un’identità dell’essere si esaurisce facilmente
se non riesce a motivare un’identità del fare, analoga
e complementare. La tendenza a confondere la rappresentazione
della realtà con la realtà stessa si perpetua: l’immagine
del Mediterraneo e il Mediterraneo stesso non si identificano
affatto. La retrospettiva continua ad avere la meglio sulla prospettiva.
Ed è così che lo stesso pensiero rimane prigioniero
degli stereotipi.
Il vasto anfiteatro del Mediterraneo ha visto per molto tempo
sulla scena lo stesso repertorio, al punto che i gesti dei suoi
attori sono talvolta noti in anticipo e prevedibili. La sola paura
dell’immigrazione proveniente dalla costa Sud non basta
per determinare una politica ragionata e aperta. Non può
fare nascere una cultura appropriata e necessaria.
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