Per
una filologia del mare
di Claudio
Magris
In una splendida pagina del “Breviario mediterraneo”
Predrag Matvejevic' racconta di aver conosciuto ad Alessandria
un orologiaio catalano che aveva la passione di compilare puntigliosamente,
lottando con tenace acribìa contro l'esorbitante mancanza
di dati, il catalogo della famosa biblioteca distrutta dal califfo
Omar, la più grande di tutta l'antichità. La filologia
del mare – di cui Matvejevic' fornisce con questo libro
un esempio affascinante, ricco d'intelligenza e di poesia –
assomiglia alla metodica e fantasiosa impresa dell'orologiaio
catalano, per la sua mescolanza di rigore e temerarietà,
precisione scientifica ed epifania dell'infinito.
La scienza del mare è studio di rotte e correnti, analisi
chimica del tasso di salinità e rilievo stratigrafico,
mappa del dominio bentonico e pelagico e suddivisione in zone
eufotiche, oligofotiche e afotiche, misurazione di temperature
e di venti; essa è tuttavia anche storia di naufragi e
mito di sirene, galeoni affondati e Leviatani primordiali; amnios
originario dell'umanità e culla di civiltà, la forma
greca che nasce perfetta dal mare come Afrodite, la grande prova
dell'anima di cui parla Musil, l'incontro col simbolo dell'eterno
e della persuasione ossia della vita che riluce nel suo puro presente
incorruttibile, nella sua pienezza di significato. Il più
grande romanzo di formazione, la più grande storia dell'individuo
che si avventura nel mondo e ritorna a casa ossia a se stesso,
e cioè l'Odissea, non è immaginabile senza il mare.
Ma quel mare, il Mediterraneo, è anche il grembo della
nostra storia, della nostra civiltà.
Una grande voce della Mitteleuropa – ossia di un mondo continentale,
di grandi pianure croato–pannoniche – ha scritto sul
Mediterraneo un libro geniale, imprevedibile e fulmineo che arricchisce
sia la storiografia culturale sia la vera e propria letteratura
del mare, con i suoi millenari tesori poetici che sfidano quelli
affondati negli abissi. Ma Predrag Matvejevic'– insigne
romanista dell'università di Zagabria, professore alla
Sorbona di Parigi e alla Sapienza di Roma, intellettuale europeo
di primissimo piano – è anche uomo della costa; croato,
è nato a Mostar, nell'Erzegovina, a una cinquantina di
chilometri dall'Adriatico, e fin da bambino era affascinato dai
fiumi e dalle rive mediterranee, e si chiedeva perché la
fascia lungo il mare è talvolta così stretta e breve
o perché lungo la costa gli abitanti assumano altre abitudini
e cantino altre canzoni. La poetica curiosità del ragazzo
è cresciuta e si è maturata con lo studioso, col
grande saggista e col grande intellettuale, ed ha inventato, in
questo inatteso breviario, una peculiare, originalissima forma.
Che cos'è questo libro, che sfida con riservata e composta
discrezione i generi letterari? I1 Mediterraneo di Matvejevic',
come dice egli stesso, non è soltanto lo spazio storico-culturale,
magistralmente e forse definitivamente studiato da Braudel, né
lo spazio mistico–lirico, vitale, celebrato da Camus o da
Gide. Affascinante genere intermedio fra il portolano, il lessico
e il saggio–romanzo basato su un'assoluta fedeltà
al reale, il libro di Matvejevic' può ricordare, nella
sua totale autonomia e nella sua diversità, La Mer di Michelet,
un altro libro geniale e bizzarro nel quale un grande storico,
dopo aver scandagliato negli archivi la storia di Francia e della
Rivoluzione, dedica la sua infaticabile attenzione alla stratificazione
geologica delle coste e ai fari, alle conchiglie e alla flora
oceanica, agli stabilimenti balneari e ai racconti sulle sirene.
Leggendo questo breviario, si ha talora l'impressione che a parlare
sia uno di quegli uomini ricordati nel libro stesso, vissuti davanti
al mare, guardando i fari e compilando dizionari nautici. Ma ogni
autentico Ulisse contemporaneo deve indossare, più che
la casacca del marinaio, la vestaglia da camera, come ha scritto
una volta Giorgio Bergamini, e avventurarsi in una biblioteca,
oltre – o più – che fra isole sperdute; l'Ulisse
odierno deve essere esperto della lontananza del mito e dell'esilio
della natura, dev'essere un esploratore dell'assenza e della latitanza
della vita vera.
Predrag Matvejevic' non è un pilota né il guardiano
di un faro; forse è anche questo, ma è in primo
luogo un protagonista del dibattito intellettuale contemporaneo.
La sua bibliografia presenta titoli apparentemente molto diversi
da questo breviario. Professore nelle più varie e importanti
università europee e d'oltre oceano, Matvejevic'è
la voce di una critica ispirata al marxismo e alle istanze rivoluzionarie,
ma scevra di ogni ortodossia e di ogni dogma ideologico. In numerosi
saggi, e soprattutto in quel vero capolavoro critico–storiografico
che è il volume Pour une poétique de l'événement
(1979), Matvejevic' ha rimeditato a fondo e rinnovato con grande
originalità la concezione sartriana dell"'engagement"
e si è inserito con indiscussa autorità nel dibattito
internazionale sull'impegno e la libertà della letteratura.
Ancor oggi – forse specialmente oggi – la coscienza
contemporanea si dibatte, specialmente in occidente, in un'impasse
inaccettabile e fatale, fra Scilla e Cariddi, fra un realismo
o classicismo progressista, le istanze umanistiche s’irrigidiscono
in un conservatorismo anacronistico e repressivo, e una rivendicazione
libertaria, che si degrada in una proliferazione pulsionale regressiva
e indistinta, in una nietzscheana "anarchia di atomi".
Pochissimi autori aiutano ad affrontare quest'ingorgo come Matvejevic',
che con la sua cultura cosmopolita, la sua signorilità
intellettuale – e la sua dialettica di vicinanza–lontananza
alla vita, alla storia e alle cose – difende la soggettività
senza abdicare all'universalità, resiste al totalitarismo
senza perdere di vista una prospettiva globale della realtà.
Sono posizioni che egli ha ribadito in numerosi saggi, dagli studi
letterari veri e propri ai suoi interventi etico–politici
alle famose e ardite "lettere aperte" indirizzate, in
situazioni difficili e non senza rischio personale, a vari potenti
della terra in difesa della libertà, anzi delle libertà,
e di concrete vittime del potere.
Combattendo contro lo stalinismo e contro tutti gli stalinismi
ossia contro tutte le formule e le concezioni totalizzanti, Matvejevic'
ha anche esorcizzato e smascherato il pericolo opposto e complementare,
che ora sembra dissolvere ogni unità culturale e ogni sistema
di valori, e cioè il particolarismo esasperato, la dispersione
molecolare: lo studioso della Jugoslavia e della Mitteleuropa
ovvero di un composito, variegatissimo e talora centrifugo mosaico,
ha ammonito che "la particolarità, di per sé,
non è ancora un valore", mettendo così in guardia
contro ogni ossessiva, viscerale, atomistica esaltazione della
propria identità e della propria immediatezza.
Col breviario mediterraneo questo interprete del dialogo fra i
massimi sistemi non cambia natura né vocazione; cambia
soltanto registro, trova un'incantevole chiave musicale. Non legge
più, come nelle sue opere precedenti, solo i libri, ma
legge il mondo, la realtà, i gesti e il vociare delle persone,
lo stile delle capitanerie, l'indefinibile trapassare della natura
nella storia e nell'arte, il prolungarsi della forma delle coste
nelle forme dell'architettura, i confini tracciati dalla cultura
dell'ulivo, dall'espandersi di una religione o dalla migrazione
delle anguille, i destini e le storie custodite nei dizionari
nautici e nelle lingue scomparse, il linguaggio delle onde e dei
moli, i gerghi e le parlate che mutano impercettibilmente nello
spazio e nel tempo, chiacchiera, ciacola e cakula; scirocco silok
e ciroko; neve, nevera e neverin; barca, barcon, barcosa, barcusius,
bragoc. I1 suo breviario diviene un libro epico e pieno di pietas
per ognuno degli innumerevoli destini che il mare custodisce e
seppellisce, come un immenso archivio o come un altrettanto immenso
dizionario etimologico. I1 mare è profondo, abissale, ma
il discorso di Matvejevic' 'è lieve, coglie i fondali nel
brillio dell'increspatura, ha una leggerezza di risacca nonostante
la vastità anche tragica ch'esso abbraccia. Egli sa far
parlare la grazia del Mediterraneo, come Raffaele La Capria nella
sua bellissima Armonia perduta.
La cultura e la storia vengono calate direttamente nelle cose,
nelle pietre, nelle rughe sul volto degli uomini, nel sapore del
vino e dell'olio, nel colore delle onde. Matvejevic' cerca di
afferrare il Mediterraneo, di abbandonarsi al fascino di questa
parola ma anche di circoscriverne rigorosamente il significato,
di tracciare limiti e confini. Egli insegue le varie piste mediterranee,
quelle dei traffici dell'ambra e delle peregrinazioni degli ebrei
sefarditi, dell'estensione della vite e del corso dei fiumi; i
confini si fanno allora oscillanti e fluttuanti, ancorché
coerenti e concentrici, disegnano ideali curve come isobare o
creste d'onda.
Matvejevic' si sofferma su tante cose concrete, che esigono la
narrazione per poter essere afferrate: l'odore del cordame sui
moli e le storie superstiziose nate intorno a quest'ultimi, le
spume diverse da mare a mare, le differenti tonalità della
tenebra sul mare, la varietà e la nomenclatura delle reti,
i colori della pittura nei diversi paesi, le denominazioni del
mare e le immagini della rosa dei venti, la struttura teatrale
delle pescherie, il lessico o la gestualità dell'ingiuria
e la contemplazione del mare intesa come preghiera. Dal vocabolario
berbero, per esempio, che ha una parola per indicare il manico
del remo ma non ne ha una per designare il remo, deduce e indaga
la storia del rapporto fra quel popolo e il mare.
Per il suo libro vale ciò che egli dice dei peripli antichi,
che oltrepassano i confini tra storia reale e racconto fantastico.
Nel nuovo e splendido capitolo sulla cartografia le vicende delle
mappe dei mari s'intrecciano a quelle dei loro autori, perigliosi
e fantastici inseguitori della precisione; l'autore che scrive
il libro ne diviene pure un personaggio, come quando narra il
suo incontro col monaco Ireneo, che scrive in una sperduta solitudine
la biografia di Simone Stilita, oppure quando rievoca i suoi viaggi,
la visita a porti sepolti e affondati o l'incontro con paesaggi
naturali e culturali, la preghiera nel deserto o le montagne della
Georgia con i loro poeti.
Questo libro mediterraneo è un racconto, che fa parlare
la realtà e innesta perfettamente la cultura nell'evocazione
fantastica. Probabilmente oggi questo è il genere più
vivo e fecondo della letteratura, almeno di quella narrativa;
tanto più vivo e poetico dei "romanzi" che ci
raccontano come e perché il signor X ha fortuna o sfortuna
con la signora Y. Da potamologo che, in Danubio, ha cercato di
dire soprattutto la grande nostalgia del mare, e in particolare
dell'Adriatico, invidio fraternamente il talassologo Matvejevic'
e sono felice che il Danubio sfoci nel mare – anche se,
purtroppo, nel mar Nero e non nel Mediterraneo.
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