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Memoria del Mediterraneo

di Predrag Matvejevic'

Sono stato molto colpito da un articolo di Antonio Calabrò pubblicato sul Sole-24 Ore del 21 marzo, intitolato "L'Ora che fu, un archivio nella polvere". Colpito e costernato dall'informazione contenuta nel testo: il modo in cui sono stati lasciati gli archivi dell'<Ora>, chiusi in fondo a un magazzino. E confesso di temere molto che quel patrimonio, abbandonato, a rischio di oblio, possa essere così mutilato, disperso, cancellato.
Ho potuto seguire, in maniera abbastanza irregolare, dall'Europa dell'Est, dove abitavo sino ad alcuni anni fa, quello straordinario giornale palermitano quando era il più vivace e il più attivamente impegnato in una lotta al tempo stesso politica e culturale. L'avevo sentito inizialmente come un'arma: ogni città mediterranea è minacciata dal provincialismo, la stessa Roma tanto quanto Palermo. Ho visto <L'Ora> come una posta in gioco importante, una prova che ognuna di quelle città doveva e poteva sostenere per difendersi da questo male. Era l'epoca in cui tentavo di coordinare le mie idee sul Mediterraneo e in cui avevo maggiormente bisogno di questa prova.
<Il Sud può e deve difendersi prima di tutto dalle forze del Sud>: quest'altra idea faticava a farsi strada senza riuscire a farsi riconoscere fino ai nostri giorni. Ho trovato un incitamento, un'ispirazione nel senso realistico del termine nel Quaderno di Leonardo Sciascia, in una raccolta degli interventi pubblicati proprio dall'<Ora>, con una prefazione, scritta dopo la sua morte, dal mio amico Vincenzo Consolo. A quel tempo conobbi Vittorio Nisticò, che aveva diretto il quotidiano già nella difficile stagione in cui le bombe dei mafiosi gli infersero un colpo sinistro. Ho detto "sinistro" e non "mortale": esistevano i mezzi, materiali e d'altra natura, per far sopravvivere quell'esperienza, quasi unica in tutto il Mediterraneo di allora; ma mancava, a chi disponeva di questi mezzi, la volontà per farlo. La stessa volontà che oggi manca a chi permette che gli archivi si distruggano...
Mi sono riavvicinato a Vittorio Nisticò in seguito, quando mi trovavo già <fra asilo ed esilio>. L'occasione mi fu fornita dal suo tentativo di far rivivere i valori dell'<Ora>, sotto altri aspetti, nella rivista <Euros>, edita, sotto la sua direzione, in italiano e in spagnolo. Chiamò tutta una serie di collaboratori di prima classe: da Manuel Vasquez Montalban a Ferdinando Savater, da Eduardo Laurento a José Cardos Pires, e poi Vincenzo Consolo, Igor Man, Biagio de Giovanni, tanto per citarne alcuni. Incontrò Vassilis Vassilikos e il sottoscritto a Siracusa e non ebbe alcuna difficoltà a farci entrare in quella famiglia mediterranea.
Nel giornalismo, ho sempre fatto una distinzione fra gli orchestrali, talvolta eccellenti, e i direttori d'orchestra. Questi ultimi sono rari. Ho riconosciuto in <Euros> colui che ha segnato l'identità dell'<Ora> con un'impronta personale e profonda negli anni in cui fu suo direttore.
Adesso scrivo queste righe perché ci si opponga al rischio di uno scempio dell'archivio de <L'Ora> e alla cancellazione di un'altra memoria del Mediterraneo, che figura fra le più nobili. E fra le più coraggiose.

(Traduzione di Elisabetta Dente)

28/03/99
IL SOLE 24 ORE
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