Andrò in prigione
Predrag Matvejevic'
Confondere
la civiltà europea con la civiltà universale, è
una tentazione ben nota. Dare ad una realtà concreta e
contingente un significato quasi assoluto è un errore comune.
Sarebbe più utile discutere delle aspettative e delle attese
di una parte dell’Europa nei confronti dell’altra.
Nei due paese candidati dell'Unione Europea - La Turchia e la
Croazia - succedono nello stesso momento due casi simili : nel
primo, lo scrittore Orhan Pamuk (candidato serio per il Premio
Nobel) è minacciato di esser arrestato per aver riconosciuto
il genocidio della sua nazione sugli armeni; nell'altro, il sottoscritto
viene condannato a cinque mesi di carcere per aver scritto sulla
responsabilità degli intellettuali nazionalisti che hanno
aiutato i «signori della guerra» ad infiammare i conflitti.
Si, è vero che ho scritto è pubblicato, in croato
e in italiano, un saggio intitolato “I nostri talebani”
( il titolo nel “Piccolo” triestino era più
esplicito: “Talebani cristiani”). Si trattava di quelli
che hanno contribuito il più ad una propaganda micidiale,
colpevoli per più di due cento mila morti in ex Jugoslavia,
di più di due milioni esiliati, non so quanti altri sottoposti
alla “pulizia etnica”. Proponevo una specie di “tribunale
d’onore” che completi quello dell’Aia, dinnanzi
al quale potrebbero rispondere i propagandisti dell’ultima
guerra balcanica. Menzionai a quest’occasione anche i nomi
: alcuni serbi, come Dobrica Cosic, l’inspiratore del famoso
“Memorandum” dell’ Accademia serba, con alcuni
suoi vicini (Matija Beckovic, Momo Kapor); aggiunsi diversi scrittori
croati, fra i quali, all’ultimo posto - vista la sua modesta
importanza letteraria - Mile Pesorda, poeta di Bosnia-Erzegovina
che si era trasferito durante la guerra in Croazia. Quest’ultimo
mi fece un processo prolungatosi durante un po’ meno di
quattro anni e che finì, alcuni giorni fà, con la
sentenza giudiziaria : che mi accusa “d’ingiuria e
diffamazione” e mi condanna a cinque mesi di carcere. Nel
motivare la sentenza il giudice ha definito offensivo il termine
“talebano”, che io invece consideravo abbastanza debole
nel contesto.
Ho già dichiarato (tramite al giornale “Novi list”
di Fiume) che non intendo fare ricorso: perché questo significherebbe
prendere sul serio la condanna e il tribunale dal quale proviene.
Sono dunque pronto di andare, nel momento deciso da “loro”,
subito dopo aver fatto la mia valigia, nella prigione che mi sarà
assegnata. Ho una doppia cittadinanza, croata e italiana (per
quest’ultima ringrazio di nuovo Claudio Magris e Raffaele
La Capria che hanno chiesto al Presidente della repubblica Scalfaro
di concedermela) - potrei dunque rimanere qui senza le difficoltà
che incontrano gli “estracomunitari”. Ma preferisco
sfidare in questo modo quelli che lo meritano.
Molti amici e compagni mi sostengono in questa decisione. Soprattutto
quelli che sanno come cercavo anch’io di difendere gli intellettuali
perseguitati, anche quelli che “pensavano diversamente”
di me: Solzenitsyn, Sacharov, Brodskij, Kis, Havel, Kundera, Milosc,
“Solidarnosc”, Dubcek e “ la Primavera di Praga”,
e anche “l’apertura italiana”, come lo chiamavamo
all’Est quando Berlinguer e i suoi compagni fecero la loro
svolta antistaliniana.
Aggiungo alla fine alcuni accenni sulle idolatrie e sulle illusioni
che si fanno di frone all’Europa tanti cittadini dell’ex
Europa dell’Est.
Ogni tentativo simile esordisce o si conclude con una domanda
ad un tempo banale ed imprescindibile: «Quale Europa?»
L’abbiamo sentita, tante volte, in diversi contesti, a partire
dall’Europa del carbone e dell’acciaio fino a quella
di Maastricht e dell’euro. Sarebbe auspicabile che l’Europa
odierna fosse meno eurocentrica di quella del passato, più
aperta al cosiddetto Terzo Mondo dell’Europa colonialista,
meno egoista dell’«Europa delle nazioni», più
Europa dei cittadini che si danno la mano e meno quella degli
Stati che si sono fatti tante guerre fra loro. Un’Europa
più consapevole di se stessa e meno soggetta all’americanizzazione.
Sarebbe utopistico aspettarsi che diventasse, in un futuro prevedibile,
più culturale che commerciale, più cosmopolita che
comunitaria, più comprensiva che arrogante, più
accogliente che orgogliosa e, in fin dei conti, perché
no, più socialista dal volto umano (è il termine
di Sacharov) e meno capitalista senza volto.
E legittimo chiedere quale diventerà l’«altra
Europa», che si trova di fronte a queste alternative. In
una parte dei cosiddetti «paesi dell’Est», il
post-comunismo non è ancora riuscito a «raggiungere»
i regimi precedenti (come livello di vita e di produzione, scambi
economici, sicurezza sociale, scolarità, regime pensionistico,
eccetera). Per citare solo un esempio: la Slovenia, che ha fatto
il migliore risultato dei dieci nuovi membri dell’Unione,
ha messo quasi otto anni per raggiungere la stessa Slovenia -
la sua produttività dell’inizio degli anni novanta.
Questa considerazione non ha lo scopo di riabilitare le pratiche
ben conosciute di un socialismo che si è autoproclamato
«reale» senza esserlo. Le transizioni di questi paesi
durano molo più a lungo del previsto. Riescono soltanto
eccezionalmente a diventare vere trasformazioni. (Occorre distinguere
meglio queste due nozioni: la transizione è basata su ipotesi,
la trasformazione è un risultato).
Il cattivo odore delle vecchie tradizioni nazionaliste ristagna
ancora in molte zone del nostro continente e fuori di esso. Si
tratta di una realtà che sembra già compiuta pur
senza concludersi o raggiungere una forma accettabile. E' una
situazione difficile da sopportare e dalla quale non ci si riesce
ad affrancare. Molti becchini si danno invano da fare, senza riuscire
a sbarazzarsi delle spoglie. È un ruolo tutt’altro
che gradevole.
I nazionalisti di ogni matrice si scagliano accuse reciproche
in modo parziale, esagerato, caricaturale – per condannare
gli altri o giustificare se stessi. Le coscienze che tentano di
ergersi “al di sopra della mischia” generalmente sono
considerate “traditrici della nazione”. E per questo
vengono punite.
Talvolta abbiamo voglia di finire piuttosto in carcere, come sta
succedendomi, che di sopportare tutto questo…
|
|