ANIMALIE
REFERENCE TEXTS
Alcuni
frammenti di riferimento dal testo di Giorgio Agamben
L'aperto.
L'uomo e l'animale (Bollati Boringhieri, Torino 2002)La scena che c'interessa
qui in modo particolare è l'ultima in ogni senso, poiché conclude
tanto il codice che la storia dell'umanità. Essa rappresenta il banchetto
messianico dei giusti nell'ultimo giorno. All'ombra di alberi paradisiaci e allietati
dalla musica di due suonatori, i giusti, con il capo incoronato, siedono a una
tavola riccamente imbandita: L'idea che, nei giorni del Messia, i giusti, che
per tutta la vita hanno osservato le prescrizioni della Torah, banchetteranno
con le carni di Leviatano e di Behemot senza preoccuparsi se la loro macellazione
sia stata o meno kosher, è perfettamente familiare alla tradizione rabbinica.
Sorprendente è, però, un particolare che non abbiano finora menzionato:
sotto le corone, il minaturista ha rappresentato i giusti non con sembianze umane,
ma con una testa inconfondibilmente animale. Non solo ritroviamo qui, nelle tre
figure sulla destra, il becco grifagno dell'aquila, la rossa testa del bue e il
capo leonino degli animali escatologici, ma anche gli altri due giusti nell'immagine
esibiscono l'uno grotteschi tratti asinini e l'altro un profilo di pantera. E
una testa di animale tocca anche ai due suonatori - in particolare quello di destram
meglio visibile, che suona una specia di viella con un ispirato muso scimmiesco.
Non è impossibile, pertanto, che attribuendo una testa d'animale al
resto d'Israele, l'artista del manoscritto dell'Ambrosiana abbia inteso significare
che, nell'ultimo giornom i rapporti fra gli animali e gli uomini si comporranno
in una nuova forma e l'uomo stesso si riconcilierà con la sua natura animale.
Homos sapiens non è dunque né una sostanza né una specie
chiaramente definita: è piuttosto, una macchina o un artificio per produrre
il ricnoscimento dell'umano. Secondo il gusto dell'epoca, la macchina antropogenica
(o antropologica, come potremmo chiamarla riprendendo un'espressione di Furio
Jesi) è una macchina ottica (tale è, secondo gli studi più
recenti, anche il congegno descritto nel Leviathanm dalla cui introduzione forse
Linneo ha tratto il suo motto: nosce te ipsum, read thy self, come Hobbes traduce
questo saying not of late understood) costituita da una serie di specchi in cui
l'uomo, guardandosi, vede la propria immagine già sempre deformata in fattezze
di scimmia.
Nell'iconografia medievale la scimmia tiene in mano uno specchio,
in cui l'uomo peccatore deve riconoscersi come simia dei. Nella macchina ottica
di Linneo colui che rifiuta di riconoscersi nella scimmia, lo diventa: parafrasando
Pascal, qui fait l'homme, fait le singe.
Le indagini di Uexküll
sull'ambiente animale sono contemporanee tanto della fisica quantistica che delle
avanguardie artistiche. Come queste, esse esprimono l'abbandono senza riserve
di ogni prospettiva antropocentrica nelle scienze della vita e la radicale disumanizzazione
dell'indagine della natura (non deve sorprendere, pertanto, che esse esercitassero
una forte influenza tanto sul filosofo del Novemcento che si è maggiormente
sforzato di separare l'uomo dal vivente - Heidegger - che su quello - Gilles Deleuze
- che ha cercato di pensare l'animale in modo assolutamente non antropomorfico).
Dove la scienza classica vedeva un unico mondom che comprendeva dentro a sé
tutte le specie viventi gerarchicamente ordinate, dalle forme più elementari
fino agli organismi superiori, Uexküll pone invece una infinita varietà
di mondi percettivi tutti ugualmente perfetti e collegati fra loro come come in
una gigantesca partitura musicale e, tuttavia, incomunicanti e reciprocamente
esclusivi, al cui centro stanno piccoli esseri familiari e, insiem, remoti, che
si chiamano Echinus esculentus, Amoeba terricola, Rhizostoma pulmo, Sipunculus,
Anemonia sulcata, Ixodes ricinus ecc. Per questo Uexküll definisce "passeggiate
in mondi inconoscibili" le sue ricostruzioni dell'ambiente del riccio di
mare, dell'ameba, della medusa, del verme di mare, dell'anemone marino, della
zecca - questi i loro nomi comuni - e degli altri minuscoli organismi che egli
predilige, perché la loro unità funzionale con l'ambiente sembra
apparentemente così lontana da quella dell'uomoe degli animali cosiddetti
superiori.
Troppo spesso - egli afferma - noi immaginiamo che le relazioni
che un determinato soggetto animale intrattiene con le cose del suo ambiente abbiano
luogo nello stesso spazio e nello stesso tempo di quelle che ci legano agli oggetti
del nostro mondo umano. Questa illusione riposa sulla credenza in un mondo unico
in cui si situerebbero tutti gli esseri viventi. Uexküll mostra che un tale
mondo unitario non esiste, così come non esistono un tempo e uno spazio
uguali per tutti i viventi. L'ape, la libellula o la mosca che osserviamo volare
accanto a noi in una giornata di sole, non si muovono nello stesso mondo in cui
noi li osserviamo né condividono con noi - o fra di loro - lo stesso tempo
e lo stesso spazio.
Non esiste una foresta in quanto ambiente oggettivamente
determinato: esiate una foresta-per-guardia-forestale, una foresta-per il-cacciatore,
una foresta-per-il-botanico, una foresta-per-il-viandante, una foresta-per-l'amico-della-natura,
una foresta-per-il legnaiolo e, infine, una foresta di favola in cui si perde
Cappuccetto Rosso. Anche un minimo dettaglio - per esempio il gambo di un fiore
ci campo - considerato in quanto portatore di significato, costituisce di volta
in volta un elemento diverso di un ambiente diverso, a seconda, per esempio, che
lo si osservi nell'ambiente di una ragazza che coglie fiori per farne un mazzetto
da spillare sul suo corsetto, in quello della formica che se ne serve come tragitto
ideale per raggiungere il suo nutrimento nel calice del fiore, in quello della
larva della cicala che ne fora il canale medullare, utilizzandolo poi come una
pompa per costruire le parti fluide del suo bozzolo aereo e, infine, in quello
della mucca che semplicemente lo mastica e ingoia per nutrirsi.
Il primo
compito del ricercatore che osserva un animale è quello di riconoscere
i portatori di significato che ne costituiscono l'ambiente. questi non sono, però,
oggettivamente e fattiziamente isolati, ma costituiscono una stretta unità
funzionale - o, come Uexküll preferisce dire, musicale - con gli organi ricettori
dell'animale deputati a percepire la marca e a reagire ad essa. Tutto avviene
come se il portatore di significato esterno e il suo ricettore nel corpo dell'animale
costituissero due elementi di una stessa partitura musicale, quasi due note nella
"tastiera sulla quale la natura esegue la sinfonia sovratemporale ed extraspaziale
della significazione", senza che sia possibile dire come mai due elementi
tanto eterogenei abbiano potuto essere così intimamente collegati.
Si consideri in questa prospettiva una tela di ragno. Il ragno non sa nulla della
mosca, né può prenderne le misure come fa un sarto prima prima di
confezionare un vestito per il suo cliente. E tuttavia esso determina l'ampiezza
delle maglie della sua tela secondo le dimensioni del corpo della mosca in volo.
I fili radiali sono, inoltre, più solidi di quelli circolari, perché
questi ultimi - che, a differenza dei primi, sono ricoperti di un liquido vischioso
- devono rimanere abbastanza elastici da poter imprigionare la mosca e impedirle
di volare. Quanto ai fili radiali, essi sono lisci e asciutti, perché il
ragno se ne serve come una scorciatoia per piombare sulla sua preda e avvolgerla
definitivamente nella sua invisibile prigione. Il fatto più sorprendente
è, infatti, che i fili della tela sono esattamente proporzionati alla capacità
visiva dell'occhio della mosca, che non può vederli e vola quindi verso
la morte senza accorgersene. I due mondi percettivi della mosca e del ragno sono
assolutamente incomunicanti e, tuttavia, così perfettamente accordati che
si direbbe che la partitura originale della mosca, che si può anche chiamare
la sua immagine originaria o il suo archetipo, agisca su quella del ragno in modo
tale che la tela che questo tesse può essere qualificata come "moscaria".
"L'animale ha memoria, ma nessun ricordo" Heymann Steinthal
I libri di Uexküll contengono a volte illustrazioni che cercano di suggerire
come apparirebbe un segmento del mondo umano visto dal punto di vista del riccio,
dell'ape, della mosca o del cane. L'esperimento è utile per l'effetto di
spaesamento che esso produce nel lettore, di colpo obbligato a guardare con occhi
non umani i luoghi a lui più familiari. Ma mai quesrto spaesamento ha raggiunto
l'icastica forza che Uexküll ha saputo imprimere alla sua descrizione dell'ambiente
di Ixodes ricinus, noto più comunemente come zecca, che costituisce certamente
un vertice dell'antiumanesimo del moderno, da leggere accanto a Ubu roi e a Monsieur
Teste.
L'esordio ha toni dell'idillio:
L'abitante della campagna
che percorre spesso i boschi e la macchia accompagnato dal suo cane non può
mancare di fare la conoscenza di una minuscola bestia che, sospesa a un ramoscello,
aspetta la sua preda, uomo o animale, per lasciarsi cadere sulla sua vittima e
abbeverarsi al suo sangue... Al momento di uscire dall'uovo, essa non è
ancora completamente formata: le mancano un paio di gambe e gli organi genitali.
Ma è già capace, a questo stadio, di attaccare gli animali a sangue
freddo, come la lucertola, appostandosi sulla punta di un filo d'erba. Dopo alcune
mute successive, acquisisce gli organi che le mancano e può così
dedicarsi alla caccia agli animali a sangue caldo. Quando la femmina viene fecondata,
si arrampica con le sue otto zampe fino all'estremità di un ramoscello,
per potersi lasciare cadere dalla giusta altezza sui piccoli mammiferi di passaggio
o per farsi urtare dagli animali di taglia più grande (Uexküll, 85-86)
Proviamo ora a immaginare, seguendo le indicazioni di Uexküll, la zecca
sospesa al suo arbusto in una bella giornata d'estate, immersa nella luce solare
e circondata da ogni parte dai colori e dal profumo dei fiori di campo, dal ronzio
della api e degli altri insetti, dal canto degli uccelli. Ma, con questo, l'idillio
è già finito di tutto ciò la zecca non percepisce assolutamente
nulla.
Questo animale è privo di occhi e trova il suo posto di
agguato soltanto grazie alla sensibilità della sua pelle alla luce. Questo
brigante si strada è completamente cieco e sordo e percepisce l'avvicinarsi
della sua preda soltanto attraverso l'odorato. L'odore dell'acido butirrico, che
emana dai follicoli sebacei di tutti i mammiferi, agisce su di esso come un segnale
che lo spinge ad abbandonare il suo posto e a lasciarsi cadere alla cieca in direzione
della preda. Se la buona sorte lo fa cadere su qualcosa di caldo (che percepisce
grazie a un organo sensibile a una determinata temperatura), ciò significa
che ha raggiuntoil suo obiettivo, l'animale a sangue caldo, e allora non ha più
bisogno che del suo senso tattile per trovare un posto il più possibile
privo di peli e conficcarsi fino alla testa nel tessuto cutaneo dell'animale.
Ora può succhiare lentamente un fiotto di sangue caldo. (ibid. 86-87)
Sarebbe lecito aspettarsi, a questo punto, che la zecca ami il gusto del sangue,
o che possegga almeno un senso per percepirne il sapore. Ma non è così.
Uexküll c'informa che esperimenti eseguiti in laboratorio servendosi di membrane
artificiali riempiti di liquidi di ogni tipo, mostrano che la zecca è assolutamente
sprovvista del senso del gusto: essa assorbe avidamente qualsiasi liquido che
abbia la giusta temperatura, cioè i trentasette gradi corrispondenti alla
temperatura del sangue dei mammiferi. Comunque sia, il banchetto di sangue della
zecca è anche il suo festino funebre, perché non le resta ora più
nulla da fare che lasciarsi cadere al suolo, deporvi le uova e morire.
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