STELLE
DELLA SERA
I
due testi di Stelle della sera fanno parte di un'unica raccolta intitolata Tele:
cinque tragediole che rappresentano altrettanti quadri di un'unica
messa in scena. Si tratta, in realtà, di cinque stazioni nel percorso che
procede verso la dissoluzione del personaggio e la progressiva messa in
scena dello stesso spettatore affidando all'impiego delle tecnologie teatrali
(diffusori sonori variamente posizionati, luci in funzione di personaggi, musica
come elemento compositivo ecc.) il cómpito di creare un'atmosfera tesa
e fortemente orientata sulle reazioni dello spettatore. Queste tragediole si offrono
non solo come una piccola, replicabile mostra delle atrocità
ma anche e soprattutto come un tentativo di teatro musicale, e dunque,
infine, come uno studio sul concetto stesso di catarsi.
Se da un lato, dunque,
è facile reperire in questi testi la prosecuzione dello stesso parossismo
tecnologico che isola le larve teatrali dell'ultima produzione beckettiana (e
giusto a partire da quella televisiva), dall'altro la riduzione progressiva
dello spazio scenico a macchia (o addirittura a materia residuale
da far colare addosso a ogni singolo spettatore) trasforma l'intero ambiente teatrale
(non già il solo palco) in un mondo parallelo latamente psicotico (come
se insomma si finisse, dalla tranquillità della propria poltrona, con l'essere
risucchiati e messi a fuoco in uno schermo). Si tratta dunque di un
teatro dei sensi (o delle iperstimolazioni sensoriali) e della loro camera d'eco:
un teatro insomma che tenta un coinvolgimento fisico e percettivo
dello spettatore nell'azione, in virtù di quel proprio del
teatro (luci, suoni, immagini, palco, platea) assolutamente irriproducibile anche
nella più emotivamente coinvolgente rappresentazione massmediale.
(...) E mentre il transito si fa sentire. E mentre infine si sente una volta ancora di sentirlo. Dentro ci si dice. No. Da qualche parte ci si dice. No. Da qualche parte ci si sente dire che qualcuno. No. Che qualcosa. Qualcosa va, qualcosa viene. E che di questo tremito costante. Di questo transitare rintronante. Si è il centro. Sì. Si è il luogo stesso dell'incrocio. Quello per cui tutto è dato. No. Quello per cui tutto si dà a dare. Per consentire che il niente vada al niente. Attraverso il centro di quella ricevente. Che fra le infinite riceventi. Si fa centro degl'infiniti centri. Ma proprio quel centro lì. Esattamente quello lì dove ciò che transita non lascia nulla intatto. Portando via ogni volta dei detriti. Perché non basta sentire. Non è certo questo che vi ha spinto qui. Occorre che proviate. A sentire di sentire. A sentirvi sentire di sentire. Occorre che ve ne si dia la possibilità. Non è vero? Che vi si renda tutto facile. Non è vero? (...)