La dinamica della passivitý in una casa di riposo per
anziani
di Federico Suarez
Espongo alcune linee di approccio alla problematica della passivitý del
vecchio nelle Case di Riposo per anziani.
Possiamo dire che tra passivitý, solitudine e una convivenza assai deteriorata
trascorre la vita dei residenti in queste istituzioni.
L'anziano, da quando lascio di essere un soggetto produttivo, ha socialmente
aggiudicato un ruolo passivo. Inquel momento, per tutta una serie di ragioni
nelle quali non ci dilunghiamo, l'anziano diventa un peso, una molestia
specialmente nella misura in cui non si deposita in lui pi˜ nessuna aspettativa,
non ci si aspetta nulla da lui, salvo la morte.
La perdita di un ruolo attivo suppone che l'anziano non puÚ pi˜ dare e
pertanto nemmeno puÚ chiedere. Solo ricevere. CosÏ come non si concepisce
che possa avere un progetto di vita, si trasforma e resta sempra pi˜ escluso
dalla dinamica sociale e familiare.
Le Case di Riposo per anziani compiono un adoppia funzione: consolidare
l'emarginazione sociale di cui Ë oggetto l'anziano e lavare la colpa che,
in questo caso, produce l'emarginare. Questo si ottiene offrendo ai ricoverati
un livello di cura e servizi difficili da raggiugnere in altri luoghi.
Fino all'estremo di considerare il fatto di entrare in una Casa di Riposo
un privilegio che pochi si possono permettere.
Il rafforzamento dell'emarginazione sociale dell'anziano, facendo copatibile
questa funzione con l'anteriore, deve passare per la creazione di una
struttura istutizionale che non permetta al vecchio di uscire dal ruolo
socialmente aggiudicato, che, anzi, lo mantenga e lo rafforzi.
CosicchÈ i ruoli attivo - passivo sono fortemente giocati all'interno
delle Case di RIposo. Il ruolo attivo Ë depositato nel personale (lavoratori)
che, dal punto di vista dello stereotipo sociale, ha la funziona di dare
all'anziano tutto quello di cui puÚ aver bisogno; Ë per questo che Ë lÏ,
per dare. il ruolo passivo rimane per l'anziano, al quale tutto ciÚ che
si chiede Ë che riceva quello che gli si dý. Questa aggiudicazione di
ruoli Ë mantenuta rigidamente e l'istituzione si struttura sopra di essa.
Di fronte alla passivitý dell'anziano la risposta istituzionale Ë l'offerta
di un programma di attivitý cui questi possa iscriversi.
Osserviamo ora la portata di questa risposta alla luce della dinamica
psicologica cui si deve far fronte.
Proporre all'anziano il suo ingresso in una nuova attivitý obbliga che
questi si riproponga il problema dei propri limiti. Pensare a quello che
puÚ fare Ë intimamente legato a quello che ormai non puÚ pi˜ fare a causa
del declino che soffrono le sue capacitý e facoltý.
Lo stabilirsi di nuovi limiti Ë il fatto che puÚ permettere che l'anziano
stabilisca un progetto concordat con le sue possibilitý reali, realizzabile
e possibilitante. PerÚ puÚ anche supporre la constatazione di nuo veperdite,
cosa che richiederý il lavoro di "elaborazione del lutto" a causa della
perdita sofferta e del dover far fronte al timore del fallimento, comprovando
che fantim non posso fare quello che voglio".
In una occasione feci in una Casa di Riposo per Anziani della provincia
di Madrid una ricerca istituzionale. Uno dei lavori che lÏ sviluppai fu
il coordinamento di alcuni gruppi operativi con i vecchi su come occupare
il tempo libero. Prima che cominciasse il gruppo, si informavano gli anziani
sul programma di attivitý che si stava organizzando e li si invitava a
partevipare alle stesse, Sistematicamente, i gruppi si dividevano in due
sub-gruppi, uno dei quli negava la possibilitý di fare qualsiasi cosa
sulla base dell'esistenza di grandi handicaps (deficenze) fisiche che
lo impedivano, mentre che all'altro gruppo qualsiasi attivitý proposta
sembrava realizzabile. I due gruppi mostravano due maniere di verse di
fare fronte al probelma dell'entrata in una nuova attivitý, perÚ nessuna
delle due permetteva il pensarlo in termini di possibilitý reali, per
cui si evitava il riproporsi il problem dei limiti.
In questo modo la passivitý, non permettendo la constatazione del grado
del declino, evita che si scateni il processo sopra descritto, proteggendo
dalla depressione. la non comunicazione e la solitudine nella qual vivono
gli anziani serve per questo stesso obiettivo.
La comunicazione con l'altro mette in gioco i meccanismi di identificazione:
"Ë vecchio come me, posso essere tanto deteriorato come lui, soffriamo
la stessa sitazione di abbandono familiare" ecc., e questo conduce a pensare
alla propria vecchiaia e alle proprie circostanze - con la conseguente
angoscia dello scoprire tante perdite. La non comunicazione permette un
controllo maggiore della identificazione con la parte depresa dell'altro
e una maggior efficacia dei meccanismi di negazione e proiezione: "il
vecchio Ë quello, le cose che succedono a lui non sono le stese che succedono
a me".
Per queste ragioni qualsiasi iniziativa o progetto che un anziano proponga
Ë sistematicamente boicottata dagli altri per mezzo dello scherno o di
critiche distruttive. In un gruppo di anziani che posteriormente organizzammo,
uno degli integranti raccontava che aveva preparato un piccolo orto nel
quale piantava cipolle, senza perÚ dirlo a nessuno; non solo, ma anche
che l'orticello era in uno dei terreni che circondavano la Casa di Riposo
e debitamente cammuffato: "se non lo avessi sitemato li' e avessi messo
le cipolle in qualsiasi altro posto della casa di riposo, sono sicuro
che andrebbero tutti lý a distruggerlo". L'anziazno aveva cominciato il
suo racconto dicendo: "Vi farý ridere". Ossia, l'iniziativa personale
deve essere sviluppata in forma clandestina. Mantenedosi nella passivitý
generalizzata si puÚ conservare l'illusione: "potrei farlo, ma non voglio".
Quando qualcuno si differenzia mostrando quello che puÚ ancora fare, si
apre immediatamente il discorso, come vedevamo prima, di quello che non
si puÚ fare e allora, a causa della discriminazione che l'altro effettua,
si corre il pericolo che l'illusione crolli, e che il "potrei farlo ma
non voglio" si trasformi nel "vorrei farlo, ma non posso".
Da come sia la relazione personale - ricoverato dipende che questa dinamica
si risolva in un circolo vizioso o possa aprirsi a altri processi differenti.
perchÈ l'anziano possa lasciare di essere passivo Ë necessario abbia la
possibilitý di essere attivo. E questa possibilitý gli viene negata se
gli offriamo un programma di attivitý in cui si conserva la aggiudicazione
dei ruoli che abbiamo visto anteriormente. Quello che ci preoccupa com
psicologi sociali Ë che se davanti alla passivitý dell'anziano il personale
si fa carico dell'attivitý e questi due ruoli funzionano rigidamente -
gli uni danno e gli altri ricevono - senza nessuna possibilitý di interscambio,
si produce una relazione malata, stereotipata. Uno di questi ruoli non
puÚ essere modificato senza che questo, a sua volta, supponga una modificazione
dell'altro. Per questo poniamo il problema della passivitý nei termini
di una relazione. La passivitý dell'anziano non ha possibilitý di soluzione
finchÈ non si ponga pure come problema l'attivitý del personale della
Casa di Riposo.
Il fatto che nell'istituzione si produca una dinamica differente, pi˜
possibilitante, dove l'anziano possa esplorare i suoi limiti e deprimersi
a causa delle sue perdite, perÚ anche pensare a quello che farý, non Ë
una questione di volontarismo, qualcosa che basta proporsi: tutto si risolverebbe,
se cosÏ fosse, in un problema di cattiva volontý e non pensiamo si tratti
di questo. Siamo invece convinti che Ë molto difficile sopportare la depressione
del vecchio, accompagnarlo nel suo tempo di elaborazione, sopportare un
vuoto di attivitý fintantochÈ l'anziano comincia a chiedere, condizione
sine qua non per stabilire un intercambio e bisogna cominciare a riempire
di contenuti il lavoro da realizzare a partire dai bisogni dell'anziano,
non a partire da quello che noi crediamo lui abbisogni.
Se osserviamo prima come la passivitý difende l'anziano dalla depressione,
l'attivitý del personale, come reazione a quella depressione, si costituisce,
a sua volta, in una difesa, una barriera per impedire che quello che succede
dall'altra parte possa ripercuotersi in loro. Qui, in questo punto, troviamo
la difficoltý che impedisce possa realizzarsi un interscambio di ruoli.
Si tratta di smontare tutto un sistema difensivo con la conseguente mobilitazione
di angosce da tutte e due le parti. Il vacchio attivo lascia senza funzione
il personale incaricato di organizzargli l'attivitý. Quest'ultimo dovrý
a partire da ora, cominciare a pensare cosa fare, prefigurare nuove occupazioni
in funzione di un interscambio di attivitý differenziate. Da adess, anche
l'anziano ha una via di accesso all'attivitý perchÈ questa ultima non
Ë pi˜ depositata unicamente nelle mani del personale.
L'istituzionalizzazionare l'attivitý nel personale comporta varie e gravi
conseguenze. Tutta l'attivitýa che si sviluppi nelle Case di Riposo viene
canalizzata attraverso dei percorsi istiuitit e qualsiasi iniziativa che
non parta da essi si tenterý assorbirla o neutralizzarla, rinoforzando
con ciÚ la clandestinitýdi cui prima parlavamo riferendoci al vecchio
delle cipolle.
Vediamo la seguente situazione (emergente) istituzionale, nella casa
di Riposo dell quale ho giý parlato, da qualche anno, un gruppo di anziane
che cominciarono a lavorare in una sartoria che costituirono per propria
iniziativa per fare vestiti a dei bambini poveri. Quando si creÚ il Dipartimento
di Terapia Occupazionale, si volle che queste anziane ne facessero parte,
includendo questa attivitý tra quelle sviluppate dal Dipartimento. non
solo non Ë stato possibile realizzarlo, ma nel momento in cui si installÚ
il Dipartimento nella stessa sala dove c'era la sartoria, le anziane costruirono
una specie di separazione tr questa e il dipartimento con una barriera
di tavoli. Non erano disposte a cambiare qualcosa che erano riuscite a
fare con il proprio sforzo, il loro progetto, per qual'altro che, improvvisamente,
appariva come un "dato" del Dipartimento di Terapia Occupazionale. In
ultima analisi, le anziane dicevano che l'attivitý non Ë di proprietý
del personale. Il bisogno di proteggersi alzando una barriera di tavoli
da quello che, in questo caso, si identificava come una invasione, ci
fa pensare con che predisposizione l'anziano ascolta quello che gli si
dice.
Ricordo adesso qualcosa che ci successe. Avevamo deciso di fare una riunione
generale con gli anziani che servisse per aprire il dialogo, e la nota
che avevamo mandatoa ciascuno di loro per convocarli diceva testualmente:
"...per verificare se Ë possibile o no stabilire un lavoro in comune tra
noi e, in caso affermativo, definire quegli aspetti o temi che ci interessa
realizzare insieme". si presentÚ a questa riunione il 16% dei convocati.
Con una parrte di loro organizzammo dei gruppi operativi, compito dei
quali era "la convivenza". PerÚ la domanda che cifacevamo costantemente
era che cosa succedeva con gli altri (i restanti anziani); come avvicinarsi
a loro, una incognita. Decidemmo di salire ai piani superiori, di passeggiare
nie reparti. Da principio non succedeva niente, perÚ la seconda o terza
volta che siamo passati nello stesso corridoio, alcuni anziani cominciarono
a guardare per la porta socchiusa e a salutarci. poi, alcuni, sempre di
pi˜ ci invitavano ad entrare nella loro stanza a prendere qualcosa per
parlare con noi. Noi non accettammo l'invito dicendo che in effetti, parlare
con loro era quello che volevamo, perÚ non bevendo un bicchiere di vino,
e che poco prima li avevamo invitati nella sala di riunione per parlare
e non erano venuti, cosicchÈ eravamo un po' irritati e ora non volevamo
parlare con loro. Gli anziani rimasero stupiti, perÚ nessuno si arrabbiÚ
con noi. Si limitarono a domandare quando ci sarebbe stata la seguente
riunione.
Era chiaro che non si aspettavano una risposta cosÏ al loro invito. Non
si aspettavano, e questa Ë la predisposizione cui accennavamo, che qualcuno
avesse veramente interesse a parlare con loro, che la loro apatia infastidisse
qualcuno.
Da quanto detto possiamo concludere che l'affrontare la problematica
dell apassivitý nel ricoverato mette in movimento un processo di cambiamento
in tutta l'istituzione. Bisogna tornare a stabilire, ridefinire funzioni
e ruoli e, come ultima conseguenza, obbiettivi.
Si apre un processo che mette in gioco tutte le contraddizioni, in un
lavoro anteriore, sviluppavo il come questo processo condusse, nella Casa
di Riposo cui mi riferisco, alla creazione di una Equipe Interdisciplinare,
come "luogo" necessario per continuare a pensare e a lavorare la nuova
problematica. Nuova perchÈ forse adesso si puÚ pensare dal punto di vista
della vita e non da quello della morte.
Federico Suarez