Giardini Pensili, un giovane gruppo riminese guidato da Roberto Paci Dalò e Isabella Bordoni, muove da diversi anni la sua ricerca in una zona in cui si incontrano teatro e musica, poesia e pittura, con performance rarefatte e minimali, fatte di fragilità e pudori, dell'intelleggibilità, di sonorità e di segni essenziali e raffinati, quasi a voler ridefinire una ecologia dell'ascolto e della percezione. Il loro lavoro vorrebbe farsi cogliere da una attenzione insieme attenta e decontratta, in un tentativo di purificazione dall'eccesso di linguaggi e di recupero di uno stadio aurorale della comunicazione, in una operazione ingenua e complessa.
Il problema del linguaggio assume un valore centrale anche in Terrae Motvs, visto di recente al Teatro Greco di Milano, spettacolo ispirato alla Mdonna del Parto di Piero della Francesca, richiamata (oltre che da vari accenni nel testo) dal baldacchino del celebre affresco, uno dei rari segni, il più facilmente identificabile, di uno spettacolo che emerge da una profonda oscurità. Si alternano tre registri: i brani cantati, recuperati dalla tradizione ungherese, affidati alla splendida voce di Katalyn Gyenis; quelli poetici, restituiti da Isabella Bordoni in un sussurro elettronicamente distorto e amplificato, in un recupero di espressività, ambiguamente sospoeso tra tecnologia e intimità, e le immagini di corpi (quelli di Marcello Sambati e Roberto Paci Dalò), sospesi nel vuoto, in posizioni fetali, che evocano compassione e rimpianto, tra lame di luce che cadono sulla materialità di oggetti che oscillano nel nulla. Sono segni rari e dispersi, che alludono alla possibile costruzione di un linguaggio articolato, ma lì sembrano arrestarsi, per trasmettere un'emozione, un sentimento, e poi rinchiudersi immediatamente su se stessi, sulla propria fisicità.
La riflessione sulla necessità-possibilità di una comunicazione, dell'elaborazione di un linguaggio efficace (da sempre oggetto privilegiato di ogni ricerca artistica) viene affrontata dai Giardini Pensili con sincerità e urgenza. Il testo di Isabella Bordoni offre esplicitamente una meditazione sul tema: dal silenzio degli "dei che tacciono" all'oblio delle parole, dal canto incastonato come un fossile nell'esistenza alle parole "risillabate a spicchi, agrumi che dissetano", fino all'impossibile utopia di "una lingua in cui ci capiremo", prima di giungere a un epilogo grottesco ed esplicitamente "politico".
Terrae Motvs si consuma dunque esplorando diverse modalità espressive: affidandosi alla muta materialità di suoni, forme, oggetti, calandosi nell'autenticità della tradizione, esplorando una parola poetica filtrata dalla tecnologia, recuperando addirittura frammenti dai mass media. È un tentativo di mettere a fuoco un linguaggio, sospeso tra la fascinazione del silenzio e le trappole di una lingua chiusa su se stessa, affascinata dai propri meccanismi. Ma ancora fortunatamente segnato dal sogno di una comunicazione non privata, che riesca a superare l'usura delle parole, il logorio dei segni, il consumo delle emozioni. Ed è proprio questo sogno a mantenere vivo ogni linguaggio teatrale.
il manifesto, 13 marzo 1992