[ Progetto_Baccanti ]

Piergiorgio Giacchè

Ecco perché non è importante - e non è nemmeno così frequente - che le opere di un "teatro della ripetizione" ricevano il loro battesimo in scena: come è noto, alcune opere nascono più propriamente in musica, altre si apprendono in sequenze foniche e visive, e non è detto che vengano dal teatro o che vi ritornino; ma tutte o quasi tutte scontano almeno un passaggio sulla pagina, come a dimostrare che la (ri)scrittura ha una sua culla naturale che non può essere smentita.

Per quanto talvolta ignorato e spesso avversato, forse è questo un capitolo irrinunciabile per una «storia del teatro» che abbia anche un futuro. Infine l'amplificazione è in ogni senso a teatro la legge che ispira ogni tecnica elementare e che orienta ogni efficace ricerca attoriale; e, al di là delle polemiche, non si può non dar ragione a Bene quando denuncia il fallimento - innazitutto teorico, ma sventuratamente anche estetico e spettacolare - di quanti, dimentichi della amplificazione, non possono che ricorrere al suo contrario, all'enfasi: i soliti attori-dicitori che si esibiscono in "maschere nude" e "vociacce svestite", salvo poi a doversi armare di una voce muscolare che, per poter "arrivare" al pubblico, davvero tradisce la sede naturale di partenza e perde nei volumi forzati quella naturalezza che crede di inseguire con i toni. E c'è chi chiama naturalismo la snaturata recitazione che ne segue; oppure c'è chi chiama straniamento la licenza di computare forte le sillabe e di emettere grida asettiche, e lo benedice perché libera le parole dell'attore dal fumetto che imita la realtà per inserirle dentro la didascalia che autorevolmente la commenta.
Più volte Carmelo Bene ha irriso chi confonde lo svociare con lo s-corporare la voce, e ininterrottamente ha ripetuto ai suoi critici che, almeno per l'attore, «l'amplificazione non è una protesi»: non serve cioè per far arrivare la voce più lontano, ma per guardarla da vicino e magari per sgranarla dentro.

Piergiorgio Giacchè, Carmelo Bene, antropologia di una macchina attoriale, Milano 1997, (pag. 75, 156)