Impresiones de México
di Enzo Minarelli
(...) Il suono, le sonorità, tutti pensano a vedere, a scattar
foto, e il suono chi lo registra?
La Bienal de Radio organizzata appunto per relazionarsi alle varie tendenze
acustiche in atto nel pianeta radiofonico, e dopo varie sessioni d\rquote
ascolto, ho maturato la mia opinione, la radio arte è monotona,
troppo generalista nonché generalizzata, perché?
Intanto manca la consapevolezza delle scelte, la coscienza del fare, questi
fior d’artisti ipertecnologizzati, registrano fin troppi suoni,
senza sapere il perché. Ho chiesto a uno di loro che suono è
questo? Risposta: “Boh, era in una strada”. O quel suono d’animale?
Che animale? Risposta: “Non ricordo, un elefante forse”. Questo
uso più deleterio che si possa fare della tecnologia, sostituirla
all’intuito operativo, all’oggetto creativo stesso. Non si
va da nessuna parte per questa strada: improvvisazione e pressapochismo.
Sarà perché la poesia sonora mi ha abituato a un certo rigore,
a un controllo costante degli elementi coinvolti, che fatico a sopportare
lavori sonori dove un pinco pallino qualsiasi prende un tubo di plastica
rossa e vi soffia dentro direzionandolo verso il microfono, nella fattispecie
Jorge Reyes, poco rey invero. Suggerirei un po d’umiltà,
quella che aveva il microfonista protagonista di un film di Wim Wenders,
Lisbon Story. Umiltà prego, e non fanfaronate con tanto di fumo
negli occhi come nei peggiori concerti rock. In un panorama tanto piatto,
si staglia netto e nitido Petroleo México di Roberto Paci Dalò,
perché organico, ha una struttura riconoscibile, una continua tensione
sonora che obbliga collettivamente a un ascolto attivo, solidità
coerente e densa di suoni messicani nonché una rumoristica preleveta
dal vivo, giudiziosamente filtrata della mano sapiente del direttore d’orchestra
che non si sbraccia più ma calibra l’opera attraverso minimi
movimenti alla console, per un insieme piacevole all’orecchio e
alla vista perché ci sono immagini registrate ad hoc, altre vengono
mixate via internet da Vancouver e interagiscono con quelle di Messico,
rigorosamente non a colori, scelta quanto mai azzeccata questa del bianco-nero,
perché nell’oscurità del teatro stracolmo, quello
schermo in chiaroscuro sembra un mare di notte (di note?) in movimento,
un inquieto agitarsi di ombre cinesi; poi montaggi decisi con un film
messicano di Ejzenstejn, passaggi rapidi tra immagini storiche e scorci
dell’oggi ma così ben gestiti che quasi quasi uno nemmeno
si accorge dello stacco.
Questa storia di Sergej Michajlovich Ejzenstejn va raccontata: dopo lo
spettacolo tutti a congratularsi per la bella e affollata performance,
sicuramente l’evento clou della Biennale, ma c’è un
neo, nella lunga lista dei credits, manca il nome del regista russo, scandalo
perché tutti (ma sarà poi vero) lo hanno riconosciuto; si
fa un gran parlare ma al solito nessuno che si sia documentato, prima
di parlare o scrivere bisognerebbe conoscere.
... Ejzenstejn dopo una fallimentare parentesi hollywoodiana se ne va
in Messico, anni Trenta, tipico. Tutti andavano in Messico in quel tempo:
Tina Modotti, Edward Weston, Artaud, Buñuel e così via,
perché? Perché tutto quello che uno non poteva fare nei
liberi e democratici United States of America, o nel ben edicato ma soffocante
Vecchio Continente, lo faceva in terra messicana (amche il finale del
già trasgressivo On the Road del santone beat Jack Kerouac non
termina forse in un bordello messicano? Così Sergej sbarca a Città
del Messico animato dalle più sane intenzioni di poter realizzare
i suoi progetti cinematografici, e fortunatamente finanziato da Upton
Sinclair gira ben 64.000 metri di pellicola perun film che avrebbe dovuto
intitolarsi Que Viva México (1931-32) ma un grave dissenso con
Sinclair impedì che fosse terminato. Tutto quel materiale venne
arbitrariamente montato in un’opra che si chiama Lampi sul Messico,
1933, e allora, come la mettiamo con i credits? È corretto aver
omesso il nome del regista russo... quando si dice la consapevolezza...
Fantasia messicana. (...)
Juliet, 120, dicembre 2004 |