GIOIA
COSTA ARTICOLI AVIGNONE 2001
Come
ogni anno, per il mese del Festival ad Avignone il teatro occupa strade e piazze.
Davanti al famoso bar la Civette sfilano ogni razza dattore
con costumi di velluto o di lana, maschere gigantesche o risme di volantini sotto
braccio per invitare ai loro spettacoli. Heiner Muller beve una birra al riparo
dal solleone mentre Valère Novarina discute Je suis, lo spettacolo per
il prossimo Festival dAutomne, Daniel Mesguich raggiunge amici a un tavolino
mentre Anne Ubersfeld con i suoi vestiti a fiori ipotizza possibili letture
del teatro. Le strade sono ricoperte da carte, locandine, manifesti e, fino
a notte tarda, in ogni spazio disponibile si alternano mimi, ballerini, attori.
Ogni pagina scritta nella storia del teatro prima o poi fa capolino in questo
festival inarrestabile. In realtà, ad Avignone i festival sono due:
cè quello ufficiale, giunto oramai alla 44a edizione, e cè
il festival Off, ormai incontrollabile. Basti pensare che il solo Théâtre
du Balcon presenta, ogni giorno, 12 diversi spettacoli. LOff può
contare su unenormità di spazi, perché trasforma in teatro
ogni luogo disponibile durante il festival. Lo spettacolo di questanno,
presentato nella Cour dHonneur del Palais des Papes, è stato Comedies
Barbares, limmensa trilogia di Ramon del Valle-Inclan per la regia di Jorge
Lavelli. In due serate, per un totale di sei ore di spettacolo, gli attori hanno
dato corpo a questimpresa, che vede Maria Casarès vicino a Denise
Gence, a Michel Aumont e ad altri trenta attori. Limpresa è resa
possibile dal fatto che oggi Lavelli è il direttore del Thèâtre
National de la Colline. Ma Jorge Lavelli non è nuovo allo spazio dorato
della Cour: anni fa ha allestito Medea con Maria Casarès, nelladattamento
di Jean Vauthier e poi Il trionfo della sensibilità di Goethe. Nelle
luci del tramonto lo spettacolo inizia con Denise Gence, qui una specie di sorellastra
di Celestine in nero che, armata di un bastone, lancia la terribile imprecazione
contro il mondo, come una custode della Storia che assista al degrado apportato
dal cambio depoca. E la vecchia governante del cavaliere Don Juan
Manuel Montenegro (Michel Aumont), signore di Galizia. Vero protagonista
della prima serata è Gueule dargent (Jean-Quentin Chatelain), che
può considerarsi a pieno titolo membro di una razza dartisti molto
amata in Francia per le generose prestazioni fisiche e vocali. Gli attori
entrano ed escono di scena con una frequenza sorprendente e, per sostenere il
confronto con Chatelain, fanno uso della gestualità più appariscente.
Cè, nella prima parte, lincontro fra questi e labate
di Lantagnon (Jean-Claude Jay): un vis a vis dove le urla di Gueule dargent
risaltano di ridondante inutilità. Come nella miglior tradizione francese
non manca larrivo del mostro. Una enorme testa su piedi si catapulta dalla
scena-barca fino in proscenio, ricordando il Jeronimus Bosh del Giudizio
Universale. Se nellallestimento di un banchetto sembra di riconoscere
lomaggio allo stile inconfondibile di Tadeusz Kantor, una inattesa citazione
a Billy the kid depista il pubblico. Ci sono gli stupri, le seduzioni in chiesa,
gli assassini, le violenze, le esibizioni di nudo, le scene di letto, i pianti.
Accanto alla barbarie non manca la nobiltà danimo e di cuore. Un
catalogo di tutti gli orrori dellumanità, ben raccolti e catalogati
da del Valle-Inclan in questo promemoria degli obbrobri di cui luomo è
lunico artefice. Accurato il lavoro che Jorge Lavelli e Graciela Galan
(scenografa e costumista) hanno compiuto sui colori dello spettacolo. Colori barocchi
(trionfanti nel banchetto di Don Juan Manuel e Isabel), giocati sulle diverse
sfumature del nero, oro e bordeaux con riflessi di un bianco candido (come nel
girotondo attorno al letto della lattea Palombe (Paula de Oliveira), maga e amante
di Gueule dargent). La seconda serata è dedicata al ritorno di
Dona Maria (Maria Casarès), prima moglie di Don Juan Manuel Montenegro.
Annunciata dalla benedizione dei cani di casa, da un parto di fortuna in mezzo
a un ponte e da grida strazianti, Dona Maria appare in bianco virginale, guidata
da una colomba. La luce di scena è lunare, con tocchi color brace sulle
botole che si aprono nel pavimento. Di fronte alla decadenza e alla voracità
dei rapporti umani Dona Maria prega, riversando sulle brutture del mondo il suo
odio e una supplica. Qui, come è nella consuetudine del teatro francese,
Maria Casarès assume la tipologia e la gestualità della stregona
più che della santa, facendo della sua preghiera una minaccia temibile.
La morte di Dona Maria, con i figli-predoni attorno al cadavere per rubare i beni
destinati alla sepoltura, termina con la scena più suggestiva: due donne
lavano il corpo e lo vestono del sudario parlando degli orrori della morte. Dei
piedi che continuano a muoversi, delle unghie che crescono, dei tendini che cedono
e di tutti gli assestamenti del corpo prima desser ammesso alleternità.
Orrori ridotti a argomento di conversazione che provoca spaesamento e paura per
quellidentica fine cui tutti tendono inesorabilmente. Insomma, Comedies
Barbares ha una regia deffetti, scandita da colpi di fucile, salti acrobatici,
voci tonanti e toraci possenti. Le Cas Muller è il titolo
dellomaggio allo scrittore più discusso e rappresentato dEuropa:
Heiner Muller. Tre serate dedicate a sei spettacoli: Hamlet-machine e La correzione;
Medea e Gli Argonauti; Quartett e Doppelkopf; tutto sotto la direzione di Jean
Jourdheuil e di Jean-François Peyret. Bisogna distinguere il
successo dallimpatto, ha dichiarato Heiner Muller. Finché
una cosa funziona non ha successo. Quando arriva il successo, non ha più
impatto. Non credo il teatro abbia un forte impatto allOvest; in scena si
può far tutto, e non significa nulla per la società. AllEst
il teatro è la rivoluzione in marcia. Per lui in teatro sono
sempre i morti a parlare. Ed ecco Zement: pièce storica che ha in sé
i germi della scomparsa del comunismo e delle ideologie. Adattato da Jean
Pierre Morel, lo spettacolo è diretto da Michel Dezoteux. Attori con
volti terribili, impalcature sghembe e futuribili nello stile di Matthias Langhoff
(che nel 1989 ha allestito ad Avignone La Mission di Muller); una casa di mattoni
diroccata, dai cui fori escono lingue di fuoco; un violino e una fisarmonica in
un vecchio palco di teatro. Nella decadenza tangibile e contagiosa, ravvivata
da miseria, paura e diffidenza, inizia lo spettacolo. Uomini bruciati manovrano
macchine, altri travestiti da donne con costumi di scena, un macchinista sinuoso
nel corpo solido. E la caricatura di una società senza vita, resa
con lo stile del cabaret tedesco degli anni 20. Tchoumalov (Bernard Yerles),
è reduce dalla rivoluzione e, tornato per miracolo vivo a casa, trova ideali
deteriorati da un presunto ordine, ideali che hanno sfasciato ogni sogno di libertà.
Una parata di umori, più che di caratteri, nelle belle impalcature
sceniche che salgono e scendono trasportando uomini-automa senza meta, vestiti
come becchini, ubriachi, felici del nulla. E limmagine dello sfascio,
della mascherata che non riesce a far ridere; un mondo-smorfia nel quale non cè
posto per il dolore né per la felicità, dove i sentimenti sono un
ricordo, avvelenato dai compiti alti e dai sacrifici chiesti al popolo
dalla storia. Unico slancio dei personaggi è per maledire la borghesia,
il passato, la storia, i potenti, ma anche gli amici e loro stessi. Fra fame
e lavoro sopraggiunge la paralisi, limmobilismo, lincapacità
dagire. Il sangue non scorre più. Michel Dezoteux ha posto gli
attori di fronte al pubblico, costringendoli ad una recitazione frontale sgranata
e di forte impatto, per riprendere le parole di Muller. Una regia che sottolinea
con lucidità il testo senza alcun cedimento Larrivo di Kleist:
François Beukelaers fa avanzare il suo personaggio con lautorità
e la sicurezza di chi non ha bisogno di mostrarsi. In mezzo a facce di biacca,
illuminate a giorno dalle luci false della vita in batteria, osserva e non partecipa,
unica voce libera in un coro di sonnambuli diretti da un robot. Linquietude,
seconda parte del Discours aux animaux di Valère Novarina, regia di Roland
Perrot. Con André Marcon. La scrittura di Valère Novarina è
veramente uno scavo nella lingua francese, una ricerca del suono puro, della parola
libera dal busto grammaticale che costringe la lingua in forme rigide e morte.
La pagina diventa per il lettore un pasto di suoni che, per la loro scansione,
sono poesia in prosa. E il ritmo la dominante della frase; un ritmo che
spezza e che lega, che impone pause e accelerazioni, soste e liasons. Come nellinvettiva,
nel grido, negli slogans e nelle parole seducenti, il ritmo che fa sì che
la parola si imprima, si stampi e lasci una traccia. In questa prospettiva,
virgole e punti non sono più il galateo della frase ma divengono lossatura
della parola, protagonista assoluta del discorso che non abbia come fine lo scambio
e il commercio di informazioni. Ancora una volta è André Marcon
a dar voce ai Discours aux animaux: Dopo cinque anni torna nella Chapelle des
Pénitents Blancs per affrontare la seconda versione (fra le mille possibili)
dei discours, redatta per Avignone da Valère Novarina lo scorso inverno.
LInquietude risuona nelle mura forate della cappella romanica come
un richiamo alla scrittura a buchi dellautore. Marcon emerge
dal buio nel lungo cappotto con una lista-filastrocca-elenco che chiama allappello
lintero auditorio. E alle pietre, alle bestie, allerba che egli
confida il segreto della parola, lasciando allaspirazione/espirazione del
testo il compito di mostrare il dolore della solitudine grammaticale.
Dal buio, la sua voce avanza, sempre dietro al corpo, e occupa lentamente la scena;
quando infine ingiunge a pietre e sassi di alzarsi, di sollevarsi, ha raggiunto
la furia dellindignazione. Riapprendere a parlare, a vincere la morte
della parola gettata, chiacchierata, comunicata come bestia da vendere;
impossessarsi del richiamo che ci ha fatti nascere, che ci tiene in vita. Questa
è la scommessa lanciata alla sala. E Marcon è quellattore
del vuoto, tubo a due uscite daria, che Novarina cerca da sempre.
Con lui è possibile raggiungere in teatro il secondo respiro
che libera il corpo e rigenera il canale nel quale scorrono le idee, il sangue,
la vita. Se P.O.L. (che ha stampato lopera omnia di Valère Novarina)
ha appena pubblicato Pendant la matiere -una raccolta di aforismi e riflessioni
sul teatro, traducibile in durante la materia- , Marcon ha scoperto
come diluirla, sudarla e farla cadere fuori dal corpo, per rompere lordinata
catena soggetto-verbo-complemento così inadatta alla vita.
L'Unità, 29.7.2001 <
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