GIOIA
COSTA ARTICOLI LULU
"Era
diventata la distruttrice di tutto perché da tutti veniva distrutta".
Con queste parole Karl Kraus ha scolpito l'immagine di Lulu, l'eterna bambina,
vittima lei stessa della sua ingenuità criminale, del suo fascino imprendibile,
della sua vitalità immotivata. Lulu, la personificazione della più
temuta immagine femminile mai concepita. Puro carattere, senza ombra di psicologia.
Talmente priva di coscienza da non poter essere combattuta: impossibile fronteggiarla,
lei che è sempre altrove e che non assume alcuna posizione duratura. Tutt'uno
con i suoi vestiti e costumi, e come loro mutevole. Stregata dal suo specchio,
da ogni riflesso della sua immagine, sulla tela o negli occhi di chi l'osserva.
Wedekind in Lulu ha dipinto il Fascino, senza altri riferimenti possibili. Un
essere che non appartiene a nulla perché nulla può possedere; perseguitata
suo malgrado dal possesso. Tutti coloro che la circondano, nel redimerla, nell'amarla,
nell'usare la sua felicità incosciente, tutti hanno un unico fine: possederla.
Fine vano, perché Lulu non conosce domani né dopo; eterno è
solo l'immediato, senza progetti né previsioni. Nella mutevolezza della
sua vita nulla è modificato da lei per la semplice ragione che nulla è
veramente e il mondo, come gli altri, ha lo stesso spessore del tulle che carezza
le sue piccole ginocchia. "Abborracciatura priva di qualsiasi valore
etico e artistico" è stato il giudizio pronunciato dalla pubblica
accusa al momento della pubblicazione del dramma, nel 1906. Le tre successive
istanze del tribunale hanno finito con il riconoscere il valore del libro senza
per questo perdonare il suo carattere "pornografico". Wedekind non
se ne sorprese: "Si è sempre verificato - ha scritto -, che un uomo
che compia un decisivo passo avanti in qualsiasi disciplina dello spirito venga
trascinato davanti a un giudice per averne infranto le regole". Nonostante
lo scandalo che provocò, il dramma è la cristallizzazione di un
ennesimo simbolo: l'innocenza criminale che semina disastri attorno a sé
per l'impossibilità di divenire ciò che gli altri bramano: corpo
addomesticabile non più fonte di ansie e timori. Di fronte alla bellezza
pura, alle azioni che non eseguono alcun progetto, di fronte alla vita sorgiva,
si scatena il panico. Lulu nega i modelli che la letteratura di tutti i tempi
ha cucito attorno alla vita femminile: non è la Madre perché il
suo amore non vale nulla e non ha fini, e poiché il concepimento investirebbe
qualche progetto non è pensabile. Ma non è nemmeno la Rivale perché
ogni suo amore dura un istante, quello in cui accade e non ha quindi tempo per
ordire le trame né per soffrire. Infine, non è possibile pensarla
indipendente: "Non so stare da sola"; per questo da sola non può
fare nulla: il non attaccamento alla realtà nega ogni concretezza ai suoi
gesti. Le sue decisioni riguardano l'immediato, l'assolutamente visibile,
il vicino: ma da vicino i contorni si sfaldano e non è possibile indovinare
le proporzioni dell'oggetto guardato. da vicino i profili si confondono e nessuna
luce aiuta a distinguere le forme. Almeno questo è il senso dei primi piani
e della luce di Pabst. In questo marasma, l'esistenza di Lulu è scandita
da tragedie; ciascuna segna l'inizio di una nuova vita perché nessuna la
riguarda veramente. Ogni ricordo è per lei neutro per il solo fatto che
è passato, di qui la sua assoluta incapacità di soffermarsi nel
dolore. Una cecità innata, origine del fascino e della rovina.
""Farmaci e veleni si differenziano solo per il modo in cui vengono
usati", scriveva Wedekind a proposito di recenti scoperte mediche; ma è
il caso di Lulu, che dà e toglie la vita a chi le è accanto. Oggetto
del desiderio mosso da un'anima capricciosa, Lulu tollera i suoi amanti mentre
questi subiscono la sua esistenza. Mutevoli,n recalcitranti, sempre in attesa
di liberarsi della passione che li unisce a lei e di farle pagare i loro cedimenti,
i suoi amanti sono i suoi prossimi nemici. Ma Lulu tutto questo non lo vede,
vive nel presente. A una seconda lettura appare chiaro che non conosce nemmeno
il desiderio: desiderare è volere una cosa, e la pulsione è fuori
dal suo universo; ma desiderare è anche la spia di una mancanza remota,
e per lei non esiste passato. C'è, invece, il bisogno di vedersi negli
altri, unico segnale del suo essere in vita. Per questo mette in gioco ciò
che ha, la sua parvenza. Quella che tutti vogliono possedere e che lei offre a
tutti quelli che la vogliono. Menandro scrive che "per natura la donna
è dissipatrice". Lulu è dissipata dagli altri, ne ha bisogno,
li annienta e per questo diventa la loro vittima. senza alcun eroismo perché
è vittima incosciente, segnata da un carattere che si afferma come destino.
La vita si svolge negli occhi dei suoi spettatori e lei è sempre dietro
al sipario, attrice ma non protagonista cui tutti vorrebbero togliere la maschera.
Ma dietro quella maschera c'è la Sfinge che nessun Edipo oggi può
vincere.
In Stile, anno 1, autunno-inverno 1990 <
indietro |