GIOIA
COSTA VALERE NOVARINA LETTERA PER
ATELIER VOLANTE Lettera
a Gioia Costa di Valère Novarina Lei
lo sa, cara Gioia, per me essere tradotto in italiano è molto più
che essere tradotto in una lingua straniera. Mi è sempre sembrato che esistesse
un legame molto forte fra le due lingue - e fra luna e laltra molto
più che una distanza, molto più che una prossimità: qualcosa
come unamorosa estraneità. Lesperienza della lingua italiana
è molto importante, nutritiva, per gli scrittori francesi: tutti i nostri
grandi scrittori del XVII secolo la frequentavano. Litaliano, per noi francesi,
possiede una luce particolare, un vigore nuovo, unombra e una profondità.
Le scrivo non da Parigi, che è il luogo del francese centrale, ma dalla
Savoia, da queste montagne che dominano il lago Leman e dove siamo nel punto in
cui si incrociano le lingue: a qualche ora da qui si parla tedesco, a qualche
ora litaliano e, nelle campagne, si sente ancora qualcuno parlare il franco-provenzale
E qui che spesso i miei libri sono cominciati, fra le montagne: in questo
luogo isolato dove ho vissuto a lungo solo e dove fa molto freddo: adesso, dalla
finestra, si vede la nebbia dagosto
Il grano deve essere seppellito:
il freddo, la morte, linverno precedono la germinazione. Al momento di cominciare
un libro torno istintivamente in questo luogo solitario, questo luogo dinfanzia.
Qui ho iniziato a scrivere alletà di nove anni - e fino a venti ho
continuato a farlo senza che nessuno lo sapesse. Scrivere era legato al segreto
del segreto. Il lavoro di scrittura inizia nellasfissia, nella sensazione
di estraneità dello spazio - e nella sensazione che lo spazio manchi.
Qui ho ricevuto la grande lezione didiozia di Jean Dubuffet e dei pittori
del museo dellArt Brut che è dietro questa finestra, a Losanna. Ho
esaminato da molto vicino gli scritti dei pazzi, gli stati aberranti del linguaggio;
a lungo mi sono nutrito di tutto ciò che deviava: i dialetti, i gerghi,
gli idiomi, le lingue incomprensibili e cifrate; ho raccolto molte iscrizioni,
graffiti, tatuaggi. Ho conosciuto un uomo con un cartello addosso sul quale era
scritto: Il passato mi ha ingannato, il presente mi tormenta, il futuro
mi spaventa. E diventato uno dei personaggi del Drame de la vie. I
libri cominciano con tre parole su un foglio, quasi nulla, cose trovate là,
briciole, resti. E comincia una proliferazione, comincia una germinazione.
Quello che cerco da sempre è una specie di stato sorgivo della lingua:
una primavera. Primavera in Savoia, in dialetto, si dice saillefeu:
sporge, salta, esce fuori: feu, viene da foris
Non è il vocabolario
francese catalogato ciò che mi interessa ma la forza che la lingua ha per
germinare sempre e nascere di nuovo. Il suo potere di germinazione. Non cerco
le parole; non ho mai cercato di fare qualcosa con le parole; non le utilizzo;
non sono attrezzi
Di fronte al linguaggio, le sensazioni appartengono allordine
del tatto: qualche cosa vi tocca, là, dietro la testa, e parla. Sento la
materialità di tutto. Le parole sono come noci, sassi, minerali che bisogna
rompere per liberare una respirazione, per far apparire. Un intero libro deriva
a volte da una sola parola spezzata. La parola è chiusa, avvolta, primitivamente
sotterrata; qualcosa deve apparire dentro: allinterno della parola stessa
e non allinterno di colui che scrive. Le parole ne sanno molto più
di noi: basta prenderle fra le mani e avvicinarle allorecchio. I testi,
allinizio, sono chiusi in loro stessi, incomprensibili, in materia inerte,
in alfabeto Morse, in nuclei ritmici chiusi. Poi lo spazio li respira, e appaiono
le figure. Il lavoro comincia cieco, nella miopia, nel troppo vicino, nel contatto
con il cuore della lingua; poi ci si allontana - e sorge lo spazio. E come
nella pittura, dove tutto è visto allinizio con le mani e da molto
vicino, poi locchio indietreggia, il corpo si allontana. Non cè
alcun gioco di parole in quello che scrivo. Le parole non sono oggetti manipolabili
che si dispongono come cubi, ma sono tragitti, contraddizioni di forze, campi
dassenza, luoghi di richiamo, di presenza, di rimando. Esiste una dinamica
verbale, una fisica-antifisica, nella quale siamo immersi: siamo di fronte a ondulazioni,
a una materia innominabile, imprendibile, invisibile e molto concreta. Qui, nella
lingua, è come se fossimo nel teatro della materia universale. Qui, incarnazione
ha luogo al contrario: sarx , carne, torna ad essere logos, parola. Cè
unantimateria, e la si vede: tutto il linguaggio è in negativo; pensare
è un capovolgimento
Quando si è al lavoro, nel linguaggio,
si è in contatto con realtà primarie, proprio come i fisici; si
è molto vicini a loro, ma dallaltra parte: a rovescio, nel muto,
nella lingua a uno. Qui si ha a che fare, veramente e con le mani, con i fondamenti
del pensiero, della nominazione, della respirazione, del reale. Ciò
che spinge il linguaggio, la sua vita, la sua energia, nella nostra lingua e in
tutte le lingue, è il verbo: il verbo spinge, libera, suscita, il verbo
rovescia, il verbo chiama, distrugge, agisce; mette il senso in movimento e lo
nega; libera il pensiero e la respirazione. Mi piacerebbe scrivere solo con verbi
- e quasi niente nomi, aggettivi. Tutte cose verbate, coniugate, incrociate con
lo spazio, in trasformazione e passanti. Nulla è temuto, tutto è
in dialogo, in combattimento, contraddizione, respirazione, passaggio, rovesciamento.
La lingua è il luogo di un dramma. Accanto a questo termine verbo, di atto
attraverso la parola, sento passaggio e il termine Pasqua che ci viene dallebraico
pessah: il salto, lannegamento, la morte e la rinascita. In noi, nel più
profondo, e nel fondo di tutte le lingue, del linguaggio: la sete di spogliarsi
e di rinascere; nel più profondo di noi, il desiderio di traversata. Tutti
ricordiamo di essere stati messi sulla terra per rinascere: basta ascoltare la
nostra respirazione che ci parla in ogni istante di questo movimento di attraversare
la morte. Che è organico e molto vivo. Ciò che tocca il linguaggio
non è affatto separato dalla materia. Nel profondo, le leggi che regolano
la nostra lingua e quelle che regolano il mondo fisico sono le stesse. Luniverso
è una frase, è retto dalla parola: sprofonderebbe allistante
se non fosse parlato dal verbo che lo sostiene. Il reale è un linguaggio.
E ciascuna delle nostre frasi, anche la più povera delle nostre frasi,
mi sembra sia galattica, ogni parte della nostra lingua come un universo in miniatura.
Qui cè un viaggio della carne fuori dal corpo umano attraverso la
voce. Un exit, un esilio, un esodo e una consumazione. Un corpo che se ne va,
che si disperde, che passa attraverso la voce. Attraverso la parola, qualcosa
di più vivo di noi viene trasmesso. Attraverso la parola, la liberazione.
Tutti gli umani lo sanno: il messia, è la parola. Le Col du Feu,
19 luglio 1998 (Costa
& Nolan, Milano 1998) <
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