GIOIA
COSTA PREFAZIONI PREMESSA
A LO SPAZIO FURIOSO PREMESSA
Essere
attori non è amare lapparire, è amare enormemente scomparire.
Questa frase racchiude in sé latmosfera del teatro di Valère
Novarina. La Francia è la terra della declamazione drammatica, della custodia
delle tradizioni (basti pensare alla Comédie Française, tempio del
teatro classico); ma è anche un paese nel quale il teatro è vivo,
un paese di grandi attori, grandi registi, nuovi autori. Nel panorama francese
contemporaneo Novarina occupa un posto decisamente originale: la sua scrittura
è caratterizzata da una ricerca tanto complessa quanto rigorosa che si
interroga sui fondamenti della lingua e sul mistero rappresentato
dal corpo dellattore che, varcando le quinte, diventa un essere non
di qui , un essere altro. Lontano dallidea di spettacolo,
Novarina scrive per il teatro, e sperimenta la sottrazione di elementi. Vuota
il palcoscenico e va oltre la distribuzione dei ruoli, delle battute: in scena
ci sono voci, nomi, immagini che non debbono legarsi a personaggi, situazioni,
intrighi. Togliere elementi è un modo per concentrare energia, e per far
splendere in scena levento oscuro e misterioso costituito dalla presenza
dellattore. Quando, nel 1992, il Festival dAutomne di Parigi ha
presentato la versione per la scena di Je Suis, il palcoscenico del teatro era
un grande spazio vuoto, occupato dalla parola. Valère Novarina ha inaugurato
un teatro di figure orali: i personaggi hanno perduto la loro centralità
e al loro posto una folla di nomi e di numeri è arrivata ad occupare prima
la pagina e poi la scena, creando alcune costanti che permettono di capire le
modalità compositive del suo teatro: la ripetizione, la nominazione, la
numerazione. La ripetizione è un modo di dare corpo ad una parola dissolvendone
i connotati semantici. Nella ripetizione si può arrivare ad una tecnica
divinatoria della scrittura: il termine ripetuto infatti finisce col perdere il
proprio senso per restare solo nella sua veste sonora. Più la ripetizione
è lunga più il potere sonoro acquista una forza impressiva. Si stampa
nella memoria come ricordo orale, che crea una zona di vuoto del significato per
lasciare spazio ad un pieno di lingua. La nominazione è una forma di
chiamata alla voce delle cose: Novarina mette al mondo le figure orali del suo
teatro e dà loro un corpo, nominandole. Nel corso degli anni i personaggi
dei suoi testi sono aumentati enormemente: sono presenze orali pure, che compaiono
per esistere in voce e nella voce scompaiono. NellAtelier Volant (1968)
erano otto, nella Chair de lHomme (1995) compaiono tutti i nomi propri esistenti
in francese. In un testo dal titolo Lunica passione dei numeri, Novarina
ha scritto: Non chiamiamo le cose come sono, le chiamiamo perché
siano. Ma accanto ai nomi ci sono altre presenze che proliferano via via.
Si tratta dei lunghi elenchi di fiumi, di piante, di uccelli. Il loro corpo è
nel loro ritmo: creano, in pagina come in scena, gorghi di energia che tengono
insieme il testo o lo spettacolo. Infine, la numerazione, che forma unaura,
un alone che circonda le cose, le parole in scena. Numerando, la parola trova
nello spazio la sua disposizione, si ordina, si compone, si placa. Ogni numerazione
vorrebbe arrivare fino alla fine, quindi è destinata a fallire. I numeri
che si incatenano luno allaltro sono cantici mancati e condanne alla
perpetuità. Numerando, Novarina dissemina cifre per ritrovare segni del
suo passaggio, per non perdersi nelle parole. Queste tre modalità compositive
lanciano nello spazio dei frammenti di lingua per far vivere in scena o nella
pagina esseri orali che esistono unicamente nel fiato dellattore-tubo, quel
corpo cavo che trangugia ed espelle la parola dellautore, rigenerandola
nel suo souffle, nel suo respiro. Lattenzione di Novarina per la dimensione
orale della scrittura affiora quando si scopre un endecasillabo nascosto, una
rima, un gioco di assonanze. Questa scansione non è mai un ornamento formale:
è una tecnica divinatoria della scrittura che serve ad evocare, e quindi
a generare, nuove forme. Lunica azione possibile, secondo Novarina, è
il parlare, e la lingua non è un attrezzo, non è uno strumento.
E la struttura stessa, la materia di cui siamo fatti. Novarina ha detto
che ogni parola è un dramma ed è questo il motivo per
cui i suoi testi possono essere definiti drammi di parole. Ma qual
è il dramma cui pensa? E il fatto che poi, dopo, la parola si tacita.
Tace. Muore. Ogni parola è quindi un confine, un passaggio, un limite.
Oltre il quale ci aspetta il silenzio. Ma Novarina crede che i libri, tutti
i libri, sono vuoti, morti. Per farli rivivere bisogna respirarci dentro, rianimarli
con il souffle. Questo è ciò che fa lattore: dà
vita a parole morte. Tutte le parole autentiche, nascendo, hanno destato stupore,
hanno rivelato qualcosa, forse hanno provocato un piccolo scandalo, un breve amore,
unintuizione esatta. Col tempo, le parole non sorprendono più: ogni
parola, anche la più audace, perde il mordente e resta lì, contemplabile,
inerte. E la cosa che fu, ora innocua, muta, morta. Tutte le lingue,
secondo Novarina, sono morte. Per questo torna così spesso sul termine
scavo: non gli interessa cambiare laspetto delle parole, lavora
sulla loro struttura. Quando inventa un termine, quando scandisce una pagina,
quando crea echi di assonanze fra i paragrafi, quando tesse una trama di richiami
fra i nomi o fra le voci della scena, in ciascuno di questi casi si sente, già
nella lettura, che non cè alcun virtuosismo: è un modo per
rendere al francese una vita autonoma, scavando e tagliando sotto la sua pelle
morbida, liscia e ben curata. Lo scavo è quindi una forma di creatività
linguistica, è lingua che si crea, che cambia corpo per ritrovare il suo
flusso interno, il suo sangue, il suo respiro. Ogni neologismo è rinascita
di un termine: dallargot, dal savoiardo meno contaminato, dal latino, dalla
botanica o da antichi linguaggi magici, Novarina estrae un cuore di senso attorno
al quale nasce la nuova parola. Non cè invenzione, ma rimessa in
vita di parole morte, o perdute. Quindi, ogni parola nuova è
nata dallascolto e solo dopo è caduta nella pagina che le ha dato
il suo nuovo corpo. Ma non è mai una parola ben messa: deve
avere le sue ombre, le sue reticenze, il suo mistero. Novarina vuol rendere al
francese il peso, gli strati e la complessità che ne hanno fatto, nei secoli,
una delle lingue più belle del mondo. Il primo testo di Valère
Novarina risale al 1970. Si tratta dellAtelier Volant, che mantiene ancora
la scansione classica in atti e scene e nel quale il numero dei personaggi è
ancora ragionevole. Ma, già lì, il problema della lingua
è centrale: i due padroni Boucot e Madame Bouche controllano il lavoro
e il tempo libero dei loro sei operai . Il loro è un microcosmo perfettamente
funzionante e chiuso. Ma perché questo meccanismo funziona, cosa assicura
il mantenimento della situazione esistente? La lingua, o meglio la padronanza
della lingua. Chi la possiede, ovvero i padroni, fa di tutto per non condividerla,
e la usa come strumento per manovrare: ogni conflitto è messo a tacere
dalla lingua che comanda, che non ha alcun interesse a comunicare con la lingua
comandata e quindi tende a complicarsi, a erigersi, a camuffarsi, a diventare
impraticabile e ripida. Questa lingua non è solo il discrimine fra i ceti
ma diventa il mezzo più potente per manipolare la realtà. Dopo
Latelier Volant Novarina ha continuato ad esplorare poteri e potenzialità
della lingua. Nel Monologue dAdramélech, che risale al 1978 e
che Novarina ha scritto per il suo attore delezione, André Marcon,
è possibile individuare lorigine di un cambiamento importante. Infatti,
Adramélech è il primo testo per attore solo, che fa parte dellunica
opera mai andata in scena, il Babil des Classes dangereuses. Dalla proliferazione
di immagini, corpi orali e nomi emerge Adramélech, che, nella sua incompiutezza,
afferra la parola. Non la domina ma la prende, e la tiene per 25 pagine.
In questo caso il monologo rappresenta la liberazione dal dominio della lingua
egemone ed è un esercizio da fare dun fiato, senza smettere mai,
lanciandosi in apnea. Dopo Adramélech Novarina ha scritto altri due
testi per attore solo: Linquiétude e LAnimal du temps, entrambi
del 1992. Sono due differenti versioni per la scena del Discours aux animaux (1987).
Fra Adramélech e questi due testi sono passati 14 anni, e la differenza
principale nella scrittura può essere rintracciata nel fatto che adesso
il monologo non è più la conquista di uno spazio orale, non ha più
una funzione liberatoria, non è sfida alla lingua da parte di una parola
sorgiva e quindi necessariamente inabile. E, invece, corpo che
si materializza nella parola, soliloquio rivolto a chi ascolta nel suono la vita
che questo contiene. In questi ultimi due testi la lingua si contempla in se stessa,
gioca con il proprio corpo generando forme tonde, ascolti pastosi, immagini orali
potenti. Vous qui habitez les temps (1989) appartiene ancora al genere testo
drammatico, ma questa aderenza è più apparente che reale.
Le convenzioni sceniche e drammaturgiche sussistono per mettere a nudo le loro
debolezze. Non è più possibile parlare di personaggi: le apparizioni
orali che entrano e scompaiono seguono logiche completamente sganciate da qualsiasi
esigenza narrativa. Vous qui habitez les temps è una interrogazione sui
limiti dellazione drammaturgica e sulle possibilità della scena teatrale.
E un testo dedicato allattore, ma non ad un attore qualsiasi: allattore-tubo
che, smembrato anchesso, diventa suono, eco, nome, corpo cavo che ospita
la parola dellautore. Dora in poi lelemento coagulante della
scrittura di Valère Novarina diventa la filastrocca che, nel suo ritmo
costante, riesce a raggiungere uno stato di purezza creativa: come nella ripetizione
di un termine si finisce col sentirne solo il suono perdendone il significato,
così nella filastrocca la lingua diviene puro ritmo, scansione, danza di
suoni che rigenerano il senso nella loro andatura orale. Nella filastrocca,
o, in alcuni casi, nella litania o nella preghiera, Novarina ripete, con variazioni
minime, una frase, una struttura, una melodia. Questo lo porta a raggiungere un
uso incantatorio dei numeri e dei nomi, che si rinnovano nella ripetizione.
Nei due scritti sul teatro, Le Théâtre des paroles (1989) e Pendant
la matière (1991), in forma di aforismi, di imperativi, di appunti o di
lettera Novarina ha esplorato a fondo la fascinazione che lattore suscita
in lui, analizzando il rapporto fra questi e il souffle; si è interrogato
sullo scambio respiratorio che avviene nella lettura, si è
posto domande sullo statuto della scena, ha raccontato il sistema di interdizioni
che è alla base della sua scrittura, ed ha condannato la televisione con
la lapidaria immagine di cattedrale del XX secolo. Ma, soprattutto,
ha detto di divorare le parole, come i suoi personaggi. Mangiare parole equivale
per lui a mangiare corpi, perché questi non sono visti nei loro caratteri
fisici, nella loro specificità corporea. Gli attori che si cibano di loro
stessi si nutrono dellunico corpo a disposizione, quello della parola, che
è appunto un boccone. Il cibo ha assunto un ruolo sempre
più importante: dopo il lungo pasto dello Spazio furioso, nella Chair de
lhomme (1992) il banchetto è diventato orale. I commensali sono ciò
che mangiano e si chiamano Mangeur Coriace, Mangeur Correct, Jean Mangeoire. Nella
proliferazione di nomi del teatro di Novarina, in questo testo i mangiatori sono
diventati seimila, seimila nomi affamati dellunica carne possibile che è
sempre la parola. Uno di loro lo dice: "Il sacrificio di una parola accade
ogni volta che io parlo". E lultimo spettacolo di Valère Novarina,
ospite del Festival dAutomne 1996 con la regia di Claude Buchwald, si chiama
proprio Le Repas, il pasto. La scrittura di Novarina ha reso possibile trattare
la lingua diversamente, non solo liberandola dai legami sintattici e grammaticali,
ma anche conferendole un potere generativo e di smembramento che mai le si era
attribuito. Lidea che la parola possa mettere al mondo nominando, e che
sia in grado di ricostituire con lenunciazione la forma delle cose ha fatto
sì che nel teatro di Novarina si sia verificata una inversione importante:
i personaggi non sono più ruoli per attore, ma apparizioni orali. E
proprio la ricerca della pulsazione autentica, che al principio era in tutte le
lingue, il desiderio di liberarla dallunico silenzio spaventoso, quello
delle parole vuote, che spinge Novarina a scavare sempre più a fondo, in
una scrittura che scuote i fondamenti della lingua per ritrovare il fondo della
parola. In Valère Novarina, Lo spazio furioso, Costa &Nolan,
Milano 1996. <
indietro
|