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DALLA
PASSIONE PER LO STUDIO ALLO STUDIO PER PASSIONE Boghos Levon Zekiyan Aveva, in quegli
anni, qualcosa di mitico, tra gli armeni, il nome Alpago-Novello, quasi
coperto da un alone di mistero tra venerazione e curiosità. Ma
tu conosci Alpago-Novello! Come l’hai conosciuto? Come si lavora
con lui? erano domande non infrequenti in incontri tra amici armeni.
E va detto, credo, senza timori di esagerazione alcuna e senza voler
offendere la modestia del collega e amico, che il sevizio reso da Adriano
Alpago-Novello alla conoscenza e allo studio dell’arte medievale
e, in particolare, dell’architettura armena sta agli apici di
quanto sia stato fatto dagli armenisti occidentali nella seconda metà
del secolo appena trascorso, accanto ai vari Cuneo e Thierry, nel medesimo
settore, e a nomi quali Mahé, Thomson o Stone, insieme a qualcun
altro, in settori attigui e paralleli della civiltà e cultura
armene. _Ho desiderato che il mio contributo alla presente Miscellanea,
che vorrebbe essere un atto di collegiale riconoscimento dell’opera
dello studioso e indefesso operatore culturale Alpago-Novello, e di
devozione nel contempo all’amico Adriano, fosse una testimonianza
ad una delle realizzazioni più tipicamente caratteristiche del
‘génie’ alpaghiano: il Centro di Studi e di Documentazione
della Cultura Armena, un tempo soprannominato “di Milano”,
dal luogo della sua prima fondazione ove rimase fino al trasferimento
a Venezia, iniziato nel 1991 e portato a termine nell’anno successivo.
Tale testimonianza vorrebbe riferirsi in particolare alla formazione
e agli sviluppi del Centro nella sua fase milanese. _Non esiste infatti
a tutt’oggi una storia documentata di questo Centro della cui
importanza e ruolo può dare un’idea il semplice fatto ch’esso
sia stato l’unico interlocutore privato, cioè non statale
o avente comunque una copertura statale, della gloriosa Accademia delle
Scienze, con sede a Mosca, dell’Unione Sovietica, che era allora
costituita – è bene forse ricordare per i lettori più
giovani – da ben quindici Repubbliche, e in parecchi settori dello
scibile umano competeva ai vertici della scala mondiale. _Il Centro
non solo è la realizzazione più tipicamente caratteristica
del ‘génie’ alpaghiano, espressione genuina della
tempra personalissima dello studioso e dell’uomo d’azione
Adriano, ma è al tempo stesso la misura e il criterio di grandezza
della sua singolare statura nell’una e nell’altra veste,
senza per nulla dimenticare minimamente la figura dell’uomo, di
particolare charme, dignità e affabilità, presente e trasparente
in tutti i settori toccati dall’intellettuale e dall’operatore.
_Ho pensato infatti che forse perfino agli amici e collaboratori più
intimi di Adriano, – quale ho avuto l’onore e il piacere
di essere stato fin dal lontano ’75, anno del nostro primo incontro,
e in maniera particolarmente intensa per un arco di tempo di almeno
sei anni (1976-1982) senza che negli anni successivi la collaborazione
venisse a mancare, seppur fosse allentata in seguito a nuove circostanze
che m’imponevano tipi e ritmi di lavoro diversi –, potrebbe
forse sfuggire la mole e il volume eccezionali di ricerca scientifica,
di pubblicazioni, di promozione e di divulgazione, realizzate, sotto
la di lui guida, nel Centro e attraverso la sua mediazione. _Per una
più immediata comprensione di quanto sto dicendo, potrei ricorrere
ad un paradosso. Se, per assurdo, Adriano Alpago-Novello non avesse
neppure pubblicato un solo volume di proprio pugno, egli resterebbe
nondimeno uno degli ‘autori’ più prolifici nell’ambito
dell’architettura e dell’arte armena per l’enorme
quantità di pubblicazioni, dalle più rigorosamente scientifiche
a quelle di colta divulgazione, come attestano gli elenchi che riportiamo
in questo volume, di cui egli fu l’ideatore, l’ispiratore,
e l’imprescindibile garante d’esecuzione. Di quei numerosi
volumi e fascicoli non sarebbe spropositato dire che costituiscono una
vera enciclopedia dell’arte armena medievale, intendendo la qualifica
‘medievale’, com’è ormai consueto, per un arco
temporale più esteso rispetto al comune suo uso applicato a contesti
occidentali, arrivando all’incirca fino al XVIII secolo. _La suaccennata
mancanza di storia e direi, persino, di cronaca organizzata ha inoltre
prodotto non di rado effetti d’inesattezza notevoli, venuti a
galla in interviste o altre uscite circostanziali di persone interessate
o in qualche modo vicine al Centro. Essendo stato presente e coinvolto
nella formazione di questo, sin dalla prima riunione effettiva, tenutasi
la sera del 2 febbraio 1976 nell’abitazione a Como del compianto
Onnik Manoukian, presenti, oltre ad Alpago-Novello, la consorte di Onnik
la Signora Mariuccia, il figlio Armen che pure ci ha precocemente lasciati,
i fratelli Hrant e Vazken Pambkian, penso che sia perciò doppiamente
doverosa una simile testimonianza, e non ultimo per il tributo dovuto
ad ognuna e a ciascuna delle persone – unicuique suum, giusta
il perenne dettame dell’intramontabile saggezza degli antichi
– coinvolte sin dalle prime fasi nelle ricerche e missioni in
questione. _Tra le inesattezze maggiormente ricorrenti, che potrei citare,
vi è quella, ad esempio, di confondere il Centro con la formazione
dei primi nuclei di ricerca e delle rispettive missioni scientifiche
in Armenia facendo risalire la fondazione del Centro all’inizio
di quelle stesse missioni. Un’altra confusione ricorrente è
quella che s’insinua tra il Centro e l’ICOM, istituzione
quest’ultima di tutt’altra natura, finalizzata alla conoscenza,
studio e difesa delle culture “non dominanti”, promossa
da Herman Vahramian, architetto e pittore di talento, oltre che scrittore
e giornalista, amico e collaboratore egli stesso, per lunghi anni, di
Alpago-Novello anteriormente alla formazione del Centro <2> .
Altre imprecisioni riguardano il rapporto tra il Centro e la OEMME Edizioni
e la rispettiva Fondazione. Queste ultime, a partire da un certo momento,
come si vedrà, vennero ad instaurare un intimo rapporto con il
Centro, ma furono in origine istituzioni ben distinte. _Perciò
le presenti righe vorrebbero porsi, benché in una forma che sarà
d’obbligo incomparabilmente più estesa e circostanziata,
in una continuità ideale di quelle che scrissi alcuni anni or
sono per commemorare uno dei pionieri di quelle missioni, che era stato
l’ingegner Harutiun Kasangian, nella “Postfazione”
alle sue memorie. <3> _Mi soffermerò in particolare sugli
sviluppi iniziali del Centro fino alla traslazione a Venezia, essendo
quello il periodo del massimo impegno per e della più incisiva
impronta su di esso della figura e dell’azione di Adriano Alpago-Novello.
_Mi aveva sempre incuriosito, come Adriano fosse arrivato sulle sponde
dell’Arasse. Un giorno mi raccontò il seguente episodio.
Giovanissimo, alle prime prese con le armi accademiche, aveva partecipato
ad una missione archeologica in Palestina. I capi missione stavano valutando,
in presenza e con l’aiuto degli assistenti, i reperti. Raccoglievano
con grande cura quelli qualificati o ritenuti antichi, mentre una certa
noncuranza, per non dire spregio, non faceva stento a trapelare per
quanto considerato bizantino. Fu tale sottovalutazione del bizantino,
da parte degli illustri maestri, come a volte accade, che incitò
il giovane Alpago-Novello ad interessarsi proprio di bizantino. Ma la
sensibilità e l’intuito dell’incontenibile giovane
gli facevano sentire da una parte la complessità di tale mondo
e la necessità, dall’altra, di un suo approccio più
comprensivo che allargasse lo sguardo verso le aree, culture e civiltà
limitrofe, anche se meno note e da taluni, seppur celeberrimi nomi,
considerate addirittura ‘barbariche’ o, nella migliore delle
ipotesi, delle propaggini periferiche, addirittura ‘provinciali’
della grande arte bizantina. _Il tratto appena delineato del giovane
Alpago-Novello l’accompagnerà sempre: quello di mai porsi
alcun limite, di spingere sempre oltre i confini, di avere lo sguardo
più ‘ecumenico’, vale a dire più complessivo,
globale, interattivo possibile. E come succede, ciò avrà
il suo prezzo! _Egli stesso mi raccontava una volta, come durante un
esame di concorso, uno dei titolari più illustri dello scibile
nello studio delle patrie architetture e della progettazione contemporanea,
gli dicesse tra ironia e rimprovero: dal momento che abbiamo un patrimonio
firmato dai vari Brunelleschi, Palladio, Michelangelo, che bisogno c’è
d’inoltrarsi in quei mondi lontani e studiare cose barbariche?
_Ogni commento sarebbe superfluo e tempo perso! Ma non potrei farne
a meno di uno: a volte la grande o stragrande ricchezza, com’è,
senza il minimo dubbio, il caso d’Italia nel dominio dell’arte,
diventa facile e misera esca del più banale e gretto provincialismo.
Da non stupirsi certamente, ma da compiangere senz’altro! E infatti
il nostro accanito e testardissimo studioso di cose ‘barbariche’,
pagò duramente – stando ai criteri e parametri ‘universitari’
– e l’ampiezza dei suoi orizzonti mentali, e la passione
per l’ignoto, e l’incondizionata sua dedizione di studioso,
non assoggettabile ad alcun compromesso, rimanendo escluso, nella carriera
universitaria, dalla ‘aureola’ di ‘ordinario’.
Ad onor suo, verrebbe voglia di dire – senza voler offendere nessuno
e tanto meno i molti validi e meritevoli colleghi ordinari –,
se si considerano comunque i labirinti e i retroscena sovente poco ‘onorevoli’
dei cosiddetti concorsi nazionali, i provincialismi e campanilismi di
vario stampo, come quello or menzionato, e via di seguito! _Un altro
prezzo ancora, ma relativamente di lieve entità, dovette pagare
Adriano per la vasta gamma delle sue scelte ‘in partibus infidelium’
(non è facile decidere della minore offensività tra il
‘barbaro’ del linguaggio civile e l’‘infedele’
del gergo ecclesiastico), in quanto ognuna di quelle popolazioni interessate
avrebbe voluto appropriarsi di lui e della sua opera in esclusiva. Ma
probabilmente alla fine gli riuscì più facile ammaestrare
e catechizzare barbari e infedeli a condividerlo in comune che non educare
ad orizzonti più aperti i raffinati civili. _Ritengo infine un
vero piacere confessare, in questa gradevole circostanza, che il contatto
assiduo con Adriano Alpago-Novello (tre giorni la settimana per almeno
tre anni) è stato per me una vera scuola, e anzitutto di vita.
La serenità di tratto, l’apertura all’accoglienza
– dell’intera casata Alpago –, la finezza e la cortesia
rigorose ma mai affettate, sono tra i ricordi più consistenti
della mia giovinezza matura. _Per quanto riguarda più direttamente
il mondo della ricerca e dello studio, da Adriano s’impara in
particolare la grande disponibilità, anzi un vibrante entusiasmo,
per ogni tipo di collaborazione senza preclusioni di ‘scuola’,
di credo e di tante altre infinite tumescenze di fronti e parti. In
uno scorcio epocale, fortemente dominato dalle contrapposizioni ideologiche,
lui ha sempre privilegiato l’uomo, così come la sostanza
del discorso. A questa sostanza ha sempre cercato di riportare ogni
rapporto di collaborazione, senza implicazioni né coinvolgimenti
ideologici, nel rispetto ma anche nella chiarezza delle reciproche posizioni
e convinzioni. Dando così un’eccellente prova, qualora
ne occorresse una che i rapporti di collaborazione più veri,
profondi e fecondi non sono quelli basati su retoriche di convergenze
‘ideologiche’ di qualsiasi tipo e categoria che siano –
sociali, politiche, religiose, economiche –, ma quelli che si
basano anzitutto sul rispetto reciproco e sul comune rispetto per alcuni
valori imprescindibili, qual era nel caso e nel campo specifico in cui
operava il patrimonio monumentale e artistico dei popoli, inteso come
segno di civiltà maestra e pegno di speranza futura. Onde il
paradosso, esemplare ed eloquente, che in una compagine agli estremi
di un cosiddetto “progressismo rivoluzionario”, qual erano
gli ambienti anni Sessanta-Settanta del Politecnico milanese, sia stato
lui, non il conservatore, ma il moderatamente progressista, e soprattutto
umanamente aperto Alpago-Novello l’interlocutore privilegiato,
quasi ‘viziato’ delle istituzioni sovietiche. _E infine,
ma non per ultimo, dal contatto con Adriano s’impara, piuttosto
si sente, si tocca l’umanità del sapere, il rapporto vitale,
profondo tra la cultura studiata e il popolo che l’ha prodotto,
che ne è il depositario, anche nelle fasce più semplici,
più povere e modeste della sua gente. Uno dei meriti, certamente
più grandi, perché più autenticamente umani, di
Adriano Alpago-Novello, è, a mio modesto parere, il suo grande
amore per i popoli con la cui arte e cultura si è per anni cimentato,
e in modo del tutto particolare per i popoli armeno e georgiano. Lui
che ne conosceva certamente e limiti e difetti più di tanti altri
studiosi e colleghi, anche per la sua peculiare capacità d’intuito,
mai cedette a taluni toni e modi tardo-colonialisti, purtroppo non ancora
del tutto scomparsi da tanti cultori d’orientalistica occidentali;
mai si appesantì dei panni di sufficienza, né fece ricorso
a smaliziati sorrisi che purtroppo – è bene confessarlo
–, se non sempre avvelenano, senza dubbio intorpidiscono, ancor
oggi, le acque. _Se non cedette a simili tentazioni, Adriano Alpago-Novello
neppure simulò però i falsi sorrisi, le pseudo-cortesie,
i fasulli elogi in faccia per sparlare alle spalle! Lui preferì
dire sempre francamente e senza mezzi termini, sebbene con quel tocco
di garbo che gli è connaturale, ciò che pensava di una
data situazione, di un dato argomento. E la sua schiettezza spesso risultò
vincente e convincente. In tal contesto mi pare esemplare il suo intervento
epistolare sul primo progetto di restauro della basilica di Khasagh,
proposto e caldeggiato da uno dei nomi più illustri e benemeriti
dell’Accademia Armena, il compianto Alexandr Sahinyan. Certo vanno
anche riconosciute la modestia e la comprensione del Sahinyan, degna
di una grande mente e grande spirito, che accolse serenamente e in uno
spirito di dialogo costruttivo le critiche mosse dal collega italiano.
_Fatte queste premesse, proverò ora a delineare brevemente come
sia maturata in Adriano Alpago-Novello l’idea di un Centro come
conseguenza delle missioni e delle ricerche intraprese sull’architettura
armena in loco, come si sia arrivati alla sua realizzazione e quali
ne siano stati in seguito, soprattutto nella fase milanese, le attività
principali.
1. Per ‘Subcaucasia’
intendo il Caucaso meridionale, noto anche col nome di Transcaucasia,
più le regioni a sud e a sud-ovest di quest’ultima costituenti
l’Armenia storica, con propaggini sino alla Mesopotamia superiore
a sud e il corso superiore dell’Eufrate ad ovest. Il vantaggio
offerto dal termine è che, a differenza di altri termini di carattere
regionale, come Caucaso, Caucaso del Sud, Anatolia, Est Anatolia ecc.,
che non arrivano a contenere l’intera realtà storica dell’Armenia
insieme alla Georgia e all’Albania caucasica, esso abbraccia invece
con un unico sguardo sia l’area sudcaucasica che quella estanatolica.
Mi permetto di rinviare per dettagli al mio “Lo studio delle interazioni
politiche e culturali tra le popolazioni della Subcaucasia: alcuni problemi
di metodologia e di fondo in prospettiva sincronica e diacronica”,
in Il Caucaso: cerniera fra culture dal Mediterraneo alla Persia (secoli
IV-XI). Atti della Quarantatreesima Settimana di studio del Centro Italiano
di Studi sull’Alto Medioevo (aprile 1995), t. I (Spoleto, 1996):
433-434, 441-443. Si badi a non confondere il sub-caucasico, nel senso
or definito, con il sud-caucasico che denota invece la parte meridionale
del Caucaso ossia la classica Transcaucasia dei russi, divenuta in seguito
denominazione comune anche nelle lingue dell’Europa occidentale
nonostante la prospettiva tipicamente russa del trans- nel guardare
verso il Caucaso. Il Prof. Gianroberto Scarcia fu il primo ad accogliere
il termine ‘Subcaucasia’, proposto dallo scrivente, seguito
da Jean-Michel Thierry, Giulio Ieni ed altri. Cfr. G. SCARCIA, “Zurvanismo
subcaucasico”, in Zurvan e Muhammad. Comunicazioni iranistiche
e islamistiche presentate al Primo Simposio Internazionale di Cultura
Transcaucasica (Milano-Bergamo-Venezia, 12-15 giugno 1979), (Quaderni
del Seminario di Iranistica … cit., 2) (Venezia, 1979): 15-21;
J.-M. THIERRY, “Les tétraconques à niche d’angle
(Étude typologique d’un groupe d’Églises subcaucasiennes)”,
in Bazmavep CLVIII (1980): 124-179; G. IENI, “Il problema delle
arcate cieche nell’architettura monumentale del X-XI secolo. Rapporti
fra Oriente e Occidente”, L’arte georgiana dal IX al XIV
secolo. Atti del Terzo Simposio Internazionale sull’Arte Georgiana,
Bari - Lecce, 14–18 ottobre 1980, Volume primo, a cura di Maria
Stella CALÒ MARIANI, Congedo Ed.re (Galatina, 1986): 65, n. 51.
Sul concetto di ‘Armenia storica’ e per una sua corretta
definizione ed uso, cfr. l’appena citato "Lo studio delle
interazioni politiche e culturali tra le popolazioni della Subcaucasia",
pp. 443-444.
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