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DALLA PASSIONE PER LO STUDIO ALLO STUDIO PER PASSIONE
L’itinerario di ricerca di Adriano Alpago-Novello - dall’imperialità bizantina alle periferie subcaucasiche - e alla fondazione del Centro di Studi e Documentazione della Cultura Armena.

Boghos Levon Zekiyan
Università "Ca' Foscari" di Venezia

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Aveva, in quegli anni, qualcosa di mitico, tra gli armeni, il nome Alpago-Novello, quasi coperto da un alone di mistero tra venerazione e curiosità. Ma tu conosci Alpago-Novello! Come l’hai conosciuto? Come si lavora con lui? erano domande non infrequenti in incontri tra amici armeni. E va detto, credo, senza timori di esagerazione alcuna e senza voler offendere la modestia del collega e amico, che il sevizio reso da Adriano Alpago-Novello alla conoscenza e allo studio dell’arte medievale e, in particolare, dell’architettura armena sta agli apici di quanto sia stato fatto dagli armenisti occidentali nella seconda metà del secolo appena trascorso, accanto ai vari Cuneo e Thierry, nel medesimo settore, e a nomi quali Mahé, Thomson o Stone, insieme a qualcun altro, in settori attigui e paralleli della civiltà e cultura armene. _Ho desiderato che il mio contributo alla presente Miscellanea, che vorrebbe essere un atto di collegiale riconoscimento dell’opera dello studioso e indefesso operatore culturale Alpago-Novello, e di devozione nel contempo all’amico Adriano, fosse una testimonianza ad una delle realizzazioni più tipicamente caratteristiche del ‘génie’ alpaghiano: il Centro di Studi e di Documentazione della Cultura Armena, un tempo soprannominato “di Milano”, dal luogo della sua prima fondazione ove rimase fino al trasferimento a Venezia, iniziato nel 1991 e portato a termine nell’anno successivo. Tale testimonianza vorrebbe riferirsi in particolare alla formazione e agli sviluppi del Centro nella sua fase milanese. _Non esiste infatti a tutt’oggi una storia documentata di questo Centro della cui importanza e ruolo può dare un’idea il semplice fatto ch’esso sia stato l’unico interlocutore privato, cioè non statale o avente comunque una copertura statale, della gloriosa Accademia delle Scienze, con sede a Mosca, dell’Unione Sovietica, che era allora costituita – è bene forse ricordare per i lettori più giovani – da ben quindici Repubbliche, e in parecchi settori dello scibile umano competeva ai vertici della scala mondiale. _Il Centro non solo è la realizzazione più tipicamente caratteristica del ‘génie’ alpaghiano, espressione genuina della tempra personalissima dello studioso e dell’uomo d’azione Adriano, ma è al tempo stesso la misura e il criterio di grandezza della sua singolare statura nell’una e nell’altra veste, senza per nulla dimenticare minimamente la figura dell’uomo, di particolare charme, dignità e affabilità, presente e trasparente in tutti i settori toccati dall’intellettuale e dall’operatore. _Ho pensato infatti che forse perfino agli amici e collaboratori più intimi di Adriano, – quale ho avuto l’onore e il piacere di essere stato fin dal lontano ’75, anno del nostro primo incontro, e in maniera particolarmente intensa per un arco di tempo di almeno sei anni (1976-1982) senza che negli anni successivi la collaborazione venisse a mancare, seppur fosse allentata in seguito a nuove circostanze che m’imponevano tipi e ritmi di lavoro diversi –, potrebbe forse sfuggire la mole e il volume eccezionali di ricerca scientifica, di pubblicazioni, di promozione e di divulgazione, realizzate, sotto la di lui guida, nel Centro e attraverso la sua mediazione. _Per una più immediata comprensione di quanto sto dicendo, potrei ricorrere ad un paradosso. Se, per assurdo, Adriano Alpago-Novello non avesse neppure pubblicato un solo volume di proprio pugno, egli resterebbe nondimeno uno degli ‘autori’ più prolifici nell’ambito dell’architettura e dell’arte armena per l’enorme quantità di pubblicazioni, dalle più rigorosamente scientifiche a quelle di colta divulgazione, come attestano gli elenchi che riportiamo in questo volume, di cui egli fu l’ideatore, l’ispiratore, e l’imprescindibile garante d’esecuzione. Di quei numerosi volumi e fascicoli non sarebbe spropositato dire che costituiscono una vera enciclopedia dell’arte armena medievale, intendendo la qualifica ‘medievale’, com’è ormai consueto, per un arco temporale più esteso rispetto al comune suo uso applicato a contesti occidentali, arrivando all’incirca fino al XVIII secolo. _La suaccennata mancanza di storia e direi, persino, di cronaca organizzata ha inoltre prodotto non di rado effetti d’inesattezza notevoli, venuti a galla in interviste o altre uscite circostanziali di persone interessate o in qualche modo vicine al Centro. Essendo stato presente e coinvolto nella formazione di questo, sin dalla prima riunione effettiva, tenutasi la sera del 2 febbraio 1976 nell’abitazione a Como del compianto Onnik Manoukian, presenti, oltre ad Alpago-Novello, la consorte di Onnik la Signora Mariuccia, il figlio Armen che pure ci ha precocemente lasciati, i fratelli Hrant e Vazken Pambkian, penso che sia perciò doppiamente doverosa una simile testimonianza, e non ultimo per il tributo dovuto ad ognuna e a ciascuna delle persone – unicuique suum, giusta il perenne dettame dell’intramontabile saggezza degli antichi – coinvolte sin dalle prime fasi nelle ricerche e missioni in questione. _Tra le inesattezze maggiormente ricorrenti, che potrei citare, vi è quella, ad esempio, di confondere il Centro con la formazione dei primi nuclei di ricerca e delle rispettive missioni scientifiche in Armenia facendo risalire la fondazione del Centro all’inizio di quelle stesse missioni. Un’altra confusione ricorrente è quella che s’insinua tra il Centro e l’ICOM, istituzione quest’ultima di tutt’altra natura, finalizzata alla conoscenza, studio e difesa delle culture “non dominanti”, promossa da Herman Vahramian, architetto e pittore di talento, oltre che scrittore e giornalista, amico e collaboratore egli stesso, per lunghi anni, di Alpago-Novello anteriormente alla formazione del Centro <2> . Altre imprecisioni riguardano il rapporto tra il Centro e la OEMME Edizioni e la rispettiva Fondazione. Queste ultime, a partire da un certo momento, come si vedrà, vennero ad instaurare un intimo rapporto con il Centro, ma furono in origine istituzioni ben distinte. _Perciò le presenti righe vorrebbero porsi, benché in una forma che sarà d’obbligo incomparabilmente più estesa e circostanziata, in una continuità ideale di quelle che scrissi alcuni anni or sono per commemorare uno dei pionieri di quelle missioni, che era stato l’ingegner Harutiun Kasangian, nella “Postfazione” alle sue memorie. <3> _Mi soffermerò in particolare sugli sviluppi iniziali del Centro fino alla traslazione a Venezia, essendo quello il periodo del massimo impegno per e della più incisiva impronta su di esso della figura e dell’azione di Adriano Alpago-Novello. _Mi aveva sempre incuriosito, come Adriano fosse arrivato sulle sponde dell’Arasse. Un giorno mi raccontò il seguente episodio. Giovanissimo, alle prime prese con le armi accademiche, aveva partecipato ad una missione archeologica in Palestina. I capi missione stavano valutando, in presenza e con l’aiuto degli assistenti, i reperti. Raccoglievano con grande cura quelli qualificati o ritenuti antichi, mentre una certa noncuranza, per non dire spregio, non faceva stento a trapelare per quanto considerato bizantino. Fu tale sottovalutazione del bizantino, da parte degli illustri maestri, come a volte accade, che incitò il giovane Alpago-Novello ad interessarsi proprio di bizantino. Ma la sensibilità e l’intuito dell’incontenibile giovane gli facevano sentire da una parte la complessità di tale mondo e la necessità, dall’altra, di un suo approccio più comprensivo che allargasse lo sguardo verso le aree, culture e civiltà limitrofe, anche se meno note e da taluni, seppur celeberrimi nomi, considerate addirittura ‘barbariche’ o, nella migliore delle ipotesi, delle propaggini periferiche, addirittura ‘provinciali’ della grande arte bizantina. _Il tratto appena delineato del giovane Alpago-Novello l’accompagnerà sempre: quello di mai porsi alcun limite, di spingere sempre oltre i confini, di avere lo sguardo più ‘ecumenico’, vale a dire più complessivo, globale, interattivo possibile. E come succede, ciò avrà il suo prezzo! _Egli stesso mi raccontava una volta, come durante un esame di concorso, uno dei titolari più illustri dello scibile nello studio delle patrie architetture e della progettazione contemporanea, gli dicesse tra ironia e rimprovero: dal momento che abbiamo un patrimonio firmato dai vari Brunelleschi, Palladio, Michelangelo, che bisogno c’è d’inoltrarsi in quei mondi lontani e studiare cose barbariche? _Ogni commento sarebbe superfluo e tempo perso! Ma non potrei farne a meno di uno: a volte la grande o stragrande ricchezza, com’è, senza il minimo dubbio, il caso d’Italia nel dominio dell’arte, diventa facile e misera esca del più banale e gretto provincialismo. Da non stupirsi certamente, ma da compiangere senz’altro! E infatti il nostro accanito e testardissimo studioso di cose ‘barbariche’, pagò duramente – stando ai criteri e parametri ‘universitari’ – e l’ampiezza dei suoi orizzonti mentali, e la passione per l’ignoto, e l’incondizionata sua dedizione di studioso, non assoggettabile ad alcun compromesso, rimanendo escluso, nella carriera universitaria, dalla ‘aureola’ di ‘ordinario’. Ad onor suo, verrebbe voglia di dire – senza voler offendere nessuno e tanto meno i molti validi e meritevoli colleghi ordinari –, se si considerano comunque i labirinti e i retroscena sovente poco ‘onorevoli’ dei cosiddetti concorsi nazionali, i provincialismi e campanilismi di vario stampo, come quello or menzionato, e via di seguito! _Un altro prezzo ancora, ma relativamente di lieve entità, dovette pagare Adriano per la vasta gamma delle sue scelte ‘in partibus infidelium’ (non è facile decidere della minore offensività tra il ‘barbaro’ del linguaggio civile e l’‘infedele’ del gergo ecclesiastico), in quanto ognuna di quelle popolazioni interessate avrebbe voluto appropriarsi di lui e della sua opera in esclusiva. Ma probabilmente alla fine gli riuscì più facile ammaestrare e catechizzare barbari e infedeli a condividerlo in comune che non educare ad orizzonti più aperti i raffinati civili. _Ritengo infine un vero piacere confessare, in questa gradevole circostanza, che il contatto assiduo con Adriano Alpago-Novello (tre giorni la settimana per almeno tre anni) è stato per me una vera scuola, e anzitutto di vita. La serenità di tratto, l’apertura all’accoglienza – dell’intera casata Alpago –, la finezza e la cortesia rigorose ma mai affettate, sono tra i ricordi più consistenti della mia giovinezza matura. _Per quanto riguarda più direttamente il mondo della ricerca e dello studio, da Adriano s’impara in particolare la grande disponibilità, anzi un vibrante entusiasmo, per ogni tipo di collaborazione senza preclusioni di ‘scuola’, di credo e di tante altre infinite tumescenze di fronti e parti. In uno scorcio epocale, fortemente dominato dalle contrapposizioni ideologiche, lui ha sempre privilegiato l’uomo, così come la sostanza del discorso. A questa sostanza ha sempre cercato di riportare ogni rapporto di collaborazione, senza implicazioni né coinvolgimenti ideologici, nel rispetto ma anche nella chiarezza delle reciproche posizioni e convinzioni. Dando così un’eccellente prova, qualora ne occorresse una che i rapporti di collaborazione più veri, profondi e fecondi non sono quelli basati su retoriche di convergenze ‘ideologiche’ di qualsiasi tipo e categoria che siano – sociali, politiche, religiose, economiche –, ma quelli che si basano anzitutto sul rispetto reciproco e sul comune rispetto per alcuni valori imprescindibili, qual era nel caso e nel campo specifico in cui operava il patrimonio monumentale e artistico dei popoli, inteso come segno di civiltà maestra e pegno di speranza futura. Onde il paradosso, esemplare ed eloquente, che in una compagine agli estremi di un cosiddetto “progressismo rivoluzionario”, qual erano gli ambienti anni Sessanta-Settanta del Politecnico milanese, sia stato lui, non il conservatore, ma il moderatamente progressista, e soprattutto umanamente aperto Alpago-Novello l’interlocutore privilegiato, quasi ‘viziato’ delle istituzioni sovietiche. _E infine, ma non per ultimo, dal contatto con Adriano s’impara, piuttosto si sente, si tocca l’umanità del sapere, il rapporto vitale, profondo tra la cultura studiata e il popolo che l’ha prodotto, che ne è il depositario, anche nelle fasce più semplici, più povere e modeste della sua gente. Uno dei meriti, certamente più grandi, perché più autenticamente umani, di Adriano Alpago-Novello, è, a mio modesto parere, il suo grande amore per i popoli con la cui arte e cultura si è per anni cimentato, e in modo del tutto particolare per i popoli armeno e georgiano. Lui che ne conosceva certamente e limiti e difetti più di tanti altri studiosi e colleghi, anche per la sua peculiare capacità d’intuito, mai cedette a taluni toni e modi tardo-colonialisti, purtroppo non ancora del tutto scomparsi da tanti cultori d’orientalistica occidentali; mai si appesantì dei panni di sufficienza, né fece ricorso a smaliziati sorrisi che purtroppo – è bene confessarlo –, se non sempre avvelenano, senza dubbio intorpidiscono, ancor oggi, le acque. _Se non cedette a simili tentazioni, Adriano Alpago-Novello neppure simulò però i falsi sorrisi, le pseudo-cortesie, i fasulli elogi in faccia per sparlare alle spalle! Lui preferì dire sempre francamente e senza mezzi termini, sebbene con quel tocco di garbo che gli è connaturale, ciò che pensava di una data situazione, di un dato argomento. E la sua schiettezza spesso risultò vincente e convincente. In tal contesto mi pare esemplare il suo intervento epistolare sul primo progetto di restauro della basilica di Khasagh, proposto e caldeggiato da uno dei nomi più illustri e benemeriti dell’Accademia Armena, il compianto Alexandr Sahinyan. Certo vanno anche riconosciute la modestia e la comprensione del Sahinyan, degna di una grande mente e grande spirito, che accolse serenamente e in uno spirito di dialogo costruttivo le critiche mosse dal collega italiano. _Fatte queste premesse, proverò ora a delineare brevemente come sia maturata in Adriano Alpago-Novello l’idea di un Centro come conseguenza delle missioni e delle ricerche intraprese sull’architettura armena in loco, come si sia arrivati alla sua realizzazione e quali ne siano stati in seguito, soprattutto nella fase milanese, le attività principali.

L’avvio delle missioni
La prima ispirazione di un Centro di studi, quale si configurerà in seguito il Centro di Studi e di Documentazione della Cultura Armena di Milano, risale alle missioni di ricerca sull’architettura armena che, a partire dal settembre 1967, un gruppo di studiosi e architetti milanesi, facenti capo al Politecnico di Milano e gravitanti intorno al Prof. Ernst Nathan Rogers, cominciano ad eseguire in Armenia, allora Repubblica Sovietica Socialista. Le missioni trovarono un valido sostegno presso la Direzione Generale della Cooperazione scientifica e tecnologica del Ministero degli Affari Esteri. Del gruppo che eseguì le prime missioni in Armenia il nucleo era costituito dal Prof. Adriano Alpago-Novello del Politecnico, dai compianti Ing. H. Kasangian del Politecnico e Arch. Armen Manoukian. A questi si era unito in un secondo momento, proveniente da Roma, l’Arch. H. Vahramian. _Nell’autunno del 1968 il gruppo che faceva riferimento all’Istituto di Umanistica della Facoltà di Architettura del Politecnico, assume una configurazione più netta come gruppo di ricerca sull’architettura armena, la quale presto amplia il campo di ricerca in una prospettiva comparativa. Così nel 1969 s’inizia una ricerca anche sull’architettura georgiana e si allarga la ricerca all’intera area caucasica. Viene a formarsi un ricco, il più delle volte, inedito materiale fotografico, iconografico, bibliografico, di rilievi e di documentazione, raro nel suo genere. _Risale al 1967, settembre-ottobre, la prima missione scientifica in Armenia RSS, su invito dell’organismo di Stato di Yerevan, il “Comitato per i Rapporti Culturali con gli Armeni all’Estero” (Spiurkhahayuthian het Mshakutayin Kaperi Komite) – purtroppo soppresso negli anni successivi all’indipendenza –, che era pure noto, brevemente, come Comitato “Spiurk” (Diaspora). Partecipavano: A. Alpago-Novello (capo missione), H. Kasangian, A. Manoukian, il fotografo Giovanni Nogaro. Durante la missione vengono studiati circa 50 complessi monumentali raccogliendo una documentazione di circa 4.000 fotografie in b/n e a colori. _Per i successivi sviluppi di queste missioni mi permetto di rinviare alla scheda documentaria, inclusa in questo volume, sulla cronologia e le attività del Centro.

Inizi e fondazione del Centro
Agli inizi del 1976 il Prof. Alpago-Novello propone ad alcune componenti della comunità armena di Milano afferenti all’Unione degli Armeni d’Italia, all’Unione Culturale Armena di Milano e alla Casa Armena, l’idea di dar vita ad un Centro di Studi Armeni, con una propria sede, un proprio personale di ricerca e la propria autonomia di funzionamento e finanziamento per garantire la conservazione ottimale e lo studio continuato del materiale esistente e di quello in via di formazione, allargandone le prospettive anche sulla storia e le lettere armene oltre il campo artistico. Le famiglie Manoukian, Serapian e Pambakian accolgono l’idea, con i conseguenti oneri finanziari. Dopo varie trattative, di cui la già menzionata riunione del 2 febbraio ’76 segnò il primo passo effettivo, viene costituito, nel mese di giugno dello stesso anno, il “Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena” (CSDCA) con sede a Milano, via Melzi d’Eril n° 6. L’avvenuta fondazione del Centro viene ufficializzata con un comunicato alla stampa armena. _L’organico del Centro prevedeva sostanzialmente due tipi di afferenza: a) soci fondatori e promotori, rappresentati allora dalle or menzionate famiglie, che s’impegnavano “per il triennio in corso con una quota minima annua pari a Lit. 2.000.000” (dallo Statuto); b) soci attivi, “designati all’uopo dal Consiglio Direttivo: quelli che prestano la loro collaborazione in attività di studio e di ricerca” (ivi). Si prevedevano inoltre soci “sostenitori”, “ordinari” e “onorari”. _Sin dall’inizio il Centro fu posto sotto la direzione del Prof. Alpago-Novello al quale si affiancarono come collaboratori scientifici permanenti il sottoscritto, allora vice-direttore della rivista Bazmavep e segretario scientifico dell’Accademia Armena di San Lazzaro dei Padri Mechitaristi, e il compianto Dott. Giulio Ieni del Politecnico di Torino. Purtroppo il valente collega e amico ci ha lasciati purtroppo precocemente, in punta dei piedi, il 3 ottobre 2003 proprio mentre queste pagine venivano consegnate alla stampa. La sua dipartita avvolge di un velo di tristezza queste reminiscenze dei primordi del Centro al quale, per molti anni, egli diede un prezioso contributo. Il suo ultimo lavoro per il Centro è stata la parte di ricerca storica dell'elegante fascicolo sulla Loggia Temanza, preparato in occasione del trasferimento del Centro a Venezia, come appresso vedremo. _Collaboratore permanente a distanza era il compianto Arch. Armen Zarian dell’Istituto d’Arte dell’Accademia delle Scienze d’Armenia e dell’Istituto “Yerevan Nachagitz” (Progetto Yerevan). A questo primo nucleo si è unita l’anno successivo la Prof. Gabriella Uluhogian, titolare di Lingua e letteratura armena all’Università di Bologna. _Dopo una fase iniziale, in cui le attività di segreteria furono svolte in spirito di volontariato (da ricordare in particolare il contributo in tal senso di Shaké Pambakian), la responsabilità della segreteria fu affidata alla Signora Herminé Avakian che la svolse fino al trasferimento del Centro a Venezia. _Trascorso il primo triennio, la famiglia Manoukian accettò di assumersi da sola la responsabilità finanziaria del proseguimento del Centro e delle sue attività.

Finalità e obiettivi del Centro

Secondo lo Statuto del Centro, approvato all’atto di fondazione, la sua attività è volta, con programmi triennali, “a favorire ricerche, studi e documentazioni di tutti gli aspetti della cultura armena, provvedendo anche alla edizione e diffusione di documenti, libri e riviste. Per il raggiungimento dei suoi fini, il Centro potrà inoltre organizzare corsi, convegni, congressi, nonché conferire borse di studio, di perfezionamento e di ricerca scientifica. Il Centro si propone infine di coltivare stretti rapporti con studiosi e ricercatori, nonché con enti e comunità armeni e non, operanti nello stesso campo”. _Alpago-Novello è stato sempre un convintissimo assertore della prospettiva comparativa allargata per ogni settore di studio e, quindi, a più forte ragione per il suo proprio settore e per il Centro di cui si faceva il promotore. Il Centro sin dall’inizio fu un Centro di studi armeni, poiché tale era l'intento dei soci fondatori: promuovere lo studio dell’arte e della cultura armene. Ma ciò non poteva significare per Adriano chiusura o limitazione di orizzonti. Con il suo solito tatto e garbo convinse i suoi vari interlocutori che sarebbe stato menomante per le stesse sorti degli studi armeni, chiuderne o solo confinarne l’orizzonte entro i limiti ristretti del mondo armeno; mentre una prospettiva allargata di sguardo comparativo avrebbe dato nuovo slancio e più elevato spicco a quegli studi. Così il Centro di studi armeni, pur mantenendo sempre questa denominazione e vocazione originarie, sotto la direzione di Adriano Alpago-Novello, non solo la coltivò con consapevole fedeltà, ma l'ampliò sistematicamente diventando un autorevole, attivo e rinomato Centro di studi con lo sguardo rivolto verso l'intero Oriente cristiano antico, in particolare verso l'architettura e l'arte georgiane. d’architettura e d’arte georgiane. Ruolo questo, apertamente riconosciuto peraltro nell’organizzazione del III Simposio Internazionale di Arte georgiana del 1980 di Bari/Lecce . <4> _Tale sorta di spinta data da Alpago-Novello all’orientamento scientifico del Centro avrebbe potuto dilatarsi in seguito verso i mondi islamici circostanti l’area subcaucasica e in primis verso l’area selgiuchide, a cui egli cominciava a pensare seriamente nella seconda metà degli anni Ottanta. Purtroppo gli accadimenti successivi non hanno consentito che si affermasse questo nuovo indirizzo di ricerca, simile a quello intrapreso per l’area georgiana.
Tra gli obiettivi primari del Centro su cui vorrei ancora spendere due parole, vi è quello della premura di por fine a ciò che potremmo chiamare il “tabù” dell'editoria italiana nei riguardi delle “cose” armene: far uscire queste dal ghetto degli ambienti armenistici e glottologici in cui le aveva relegate la cultura italiana di più ampia diffusione. Di ciò ho già scritto altrove <5> , ma non mi pare fuori proposito ritornare anche in questa sede su questo argomento alquanto spinoso. Va rilevato anzitutto un fatto, la cui conoscenza sarebbe erroneo dare per scontata anche presso i ceti colti, che l'Italia è stata in Europa uno dei paesi antesignani della moderna armenistica ed ha avuto in seguito, fino a tutta la prima metà del XX secolo, un'ampia corona di figure di primo piano seriamente e non velleitariamente interessate a cose armene, e in epoche più recenti anche alla "causa armena", dai vari Teseo, Rivola e Galano ai Tommaseo, Prezzolini, Lucini, Nitti-Valentini, Russo, Mainardi passando per tanti nomi eccelsi tra cui il sommo Leopardi. Ma ciò nonostante, non si può non constatare come per una serie di motivi, di carattere, credo, prevalentemente politico, l’Armenia e gli armeni abbiano costituito, dopo la seconda guerra mondiale, quasi un “tabù” per l’editoria italiana in cui il nome dell’Armenia e di armeno furono soggetti in certo qual senso ad una specie di censura politica, quasi superegotica. Negli anni Sessanta, ad esempio, persino una lettura radiofonica del celebre romanzo dello scrittore ebreo austriaco, Franz Werfel, I quaranti giorni del Mussa Dagh, avente come oggetto un episodio fra i tanti del Genocidio degli armeni ad opera del governo ottomano dei Giovani Turchi durante la prima guerra mondiale, poté essere interrotta, per il dispiacere che tale lettura recava al governo della Repubblica turca, potente e importante alleata dell'Italia nell'ambito delle alleanze strategico-militari. Tale censura sovrastrutturale aveva fatto sì che, nel quarantennio fra il ’45 e l’85, nonostante una ricchissima storia di rapporti bilaterali italo-armeni - cui aggiunge una preziosa testimonianza anche il presente volume -, siano stati rarissimi nell’editoria, nei mezzi di comunicazione sociale e, in genere, nella vita pubblica italiani i titoli e le manifestazioni attinenti all’Armenia e agli armeni, se si eccettuano la tradizionale, plurisecolare attività tipografica dell’Ordine monastico mechitarista dei Padri armeni di Venezia e le ricerche pionieristiche sull’architettura e l’arte medievali armene dei due nuclei di storici dell’arte di Milano e di Roma, guidati, rispettivamente, dal nostro festeggiato e dal compianto Paolo Cuneo, ma dalla diffusione limitata, per tutte le attività citate, prevalentemente agli ambienti armeni e armenistici. Non vi è dubbio che il superamento di una simile impasse fosse tra gli obiettivi primari di Alpago-Novello. Ne offre fulgida testimonianza il volume Gli Armeni che può, da questo punto di vista, essere considerato come una delle opere più significative ed emblematiche della carriera di studioso e di operatore culturale di Alpago-Novello e del Centro, benché il Centro non vi figuri nei vari titoli di copertina. Esso compare comunque, e a pieno titolo, già nelle prime parole della Presentazione firmata da Adriano Alpago-Novello, il curatore principale del libro, ma soprattutto colui che ne rese possibile l'uscita, dopo anni di estenuanti e a volte umilianti trattative con varie case editrici. Vi leggiamo: "Questo libro costituisce in un certo senso la sintesi di un lavoro di ricerca e di studio sul mondo armeno iniziato da oltre 15 anni e condotto in collaborazione tra il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena di Milano e i Colleghi della Accademia delle Scienze dell'Armenia SSR". Il volume rompeva, almeno in fase iniziale, il “tabù” decennale dell’editoria italiana nei riguardi del mondo armeno. Il volume ebbe un notevole successo: è uscito in prima edizione (Jaca Book 1986) in quattro lingue simultaneamente (inglese: Rizzoli New York, francese: Payot, tedesco: Belser Verlag) ed ebbe varie ristampe e riedizioni, anche presso altre case editrici.

Il trasferimento a Venezia
Nel marzo del 1992 fu compiuto il trasferimento del Centro a Venezia, nella bella e prestigiosa Loggia Temanza, dovuta all’architetto Tommaso Temanza che la progettò e realizzò attorno agli anni 1775-77. La Loggia è situata a Corte Zappa, Dorsoduro 1602, in fondo al parco interno del superbo palazzo di Ca’ Zenobio, l’ex Collegio mechitarista Moorat-Raphael <6> ai Carmini, con proprio ingresso da Corte Zappa di fronte al ben noto Teatro Avogaria <7> . _La data iniziale, e pure ufficiale, del trasferimento può essere considerata la solenne inaugurazione, avvenuta il 29 giugno 1991, della Loggia Temanza, in seguito al radicale e raffinato lavoro di restauro promosso dalla Famiglia Manoukian. Mi pare opportuno ricordare qui il concerto per l’inaugurazione in omaggio al compositore armeno Ludwig Bazil (1931-1990). Oriundo della Persia, Bazil aveva trascorso la fase matura della sua creatività musicale in Germania ed era stato, accanto a Herman Vahramian, tra i principali promotori dell’ICOM, molto attivo in Italia, specie tra metà anni Settanta e metà anni Ottanta. _Insieme al Centro confluì simultaneamente nella Loggia Temanza l’Associazione Culturale “OEMME” (O.M.), che era stata costituita nel maggio del 1985 a Milano dai soci fondatori Agopik e Setrag Manoukian e Herman Vahramian, con prevalenti finalità editoriali. In seguito le due istituzioni vennero fuse, mantenendo però ognuna la propria denominazione e finalità, mentre l’Associazione OEMME assumeva la responsabilità amministrativa e finanziaria del Centro. _A segretario del Centro e dell’OEMME, dopo il trasferimento a Venezia, è stato assunto Minas Lurian. Direttore del Centro rimase Adriano Alpago-Novello, mentre al posto dei collaboratori permanenti summenzionati venne assunto l’Arch. Arà Zarian, figlio di Armen Zarian, appositamente chiamato dall’Armenia, con la funzione specifica di curare la prosecuzione dei fascicoli della Collana Documenti di Architettura Armena. Oltre al proseguimento della collana, portata avanti fino al fasc. n° 23 e indi conclusa, nel 1998, il Centro si dedicò a Venezia, inizialmente, ad attività di carattere soprattutto promozionale, come l’organizzazione di concerti e la partecipazione armena alla Biennale di Venezia. _Gli impegni più recenti del Centro che esulano, come già detto, dai limiti del presente contributo, meriterebbero un approfondimento a parte. Di nuovo mi permetto di rinviare alla scheda sul Centro di questo volume per i dettagli e la cronologia. Ma qui vorrei brevemente soffermarmi in particolare sui seguenti impegni che ritengo esprimano con una più marcata sottolineatura gli orientamenti del Centro nell'ultimo decennio che praticamente coincide con il suo trasferimento a Venezia: _a) l’impegno per il restauro di monumenti in Armenia e per la formazione alla teoria e pratica del restauro di giovani architetti e studiosi armeni. Tale impegno è portato avanti con costanza e competenza dall’arch. Gaianè Casnati. Tra i suoi risultati più tangibili e benemeriti va menzionato il restauro della chiesa di Marmashen, solennemente riaperta al culto il 6 agosto 2002 dal Catholicos di tutti gli Armeni Garegin II; _b) l’impegno per la registrazione su CD-Rom dell’intero patrimonio del canto corale liturgico secondo la tradizione del monastero di San Lazzaro nell’interpretazione di P. Vrthanes Uluhogian, maestro di coro del monastero. Tale impegno è seguito dal segretario del Centro Minas Lourian; _c) la convenzione di collaborazione con il Dipartimento di Studi Eurasiatici, tra i cui maggiori risultati vanno ricordati: _1. la scansione e la classificazione digitale del materiale iconografico conservato al Centro, sotto la guida del Prof. Gianclaudio Macchiarella e il coordinamento dell’arch. Gaianè Casnati; _2. la serie di conferenze/seminari “Manoukian Lectures” che hanno già avuto cinque edizioni con la partecipazione di noti studiosi e con notevole successo di uditorio; _3. Le missioni congiunte, archeologiche e di restauro dei monumenti, in Armenia, finanziate anche con contributo del Ministero degli Affari Esteri, dirette dal prof. Gianclaudio Macchiarella e coordinate dall’arch. Gaianè Casnati. _Non va infine dimenticato che il Centro, in specie il suo segretario M. Lourian, recò un contributo decisivo all’organizzazione della visita di pace, nel 2001, a Yerevan e a Istanbul, dell'orchestra e del coro della Scala
sotto la direzione del maestro Riccardo Muti
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1. Per ‘Subcaucasia’ intendo il Caucaso meridionale, noto anche col nome di Transcaucasia, più le regioni a sud e a sud-ovest di quest’ultima costituenti l’Armenia storica, con propaggini sino alla Mesopotamia superiore a sud e il corso superiore dell’Eufrate ad ovest. Il vantaggio offerto dal termine è che, a differenza di altri termini di carattere regionale, come Caucaso, Caucaso del Sud, Anatolia, Est Anatolia ecc., che non arrivano a contenere l’intera realtà storica dell’Armenia insieme alla Georgia e all’Albania caucasica, esso abbraccia invece con un unico sguardo sia l’area sudcaucasica che quella estanatolica. Mi permetto di rinviare per dettagli al mio “Lo studio delle interazioni politiche e culturali tra le popolazioni della Subcaucasia: alcuni problemi di metodologia e di fondo in prospettiva sincronica e diacronica”, in Il Caucaso: cerniera fra culture dal Mediterraneo alla Persia (secoli IV-XI). Atti della Quarantatreesima Settimana di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (aprile 1995), t. I (Spoleto, 1996): 433-434, 441-443. Si badi a non confondere il sub-caucasico, nel senso or definito, con il sud-caucasico che denota invece la parte meridionale del Caucaso ossia la classica Transcaucasia dei russi, divenuta in seguito denominazione comune anche nelle lingue dell’Europa occidentale nonostante la prospettiva tipicamente russa del trans- nel guardare verso il Caucaso. Il Prof. Gianroberto Scarcia fu il primo ad accogliere il termine ‘Subcaucasia’, proposto dallo scrivente, seguito da Jean-Michel Thierry, Giulio Ieni ed altri. Cfr. G. SCARCIA, “Zurvanismo subcaucasico”, in Zurvan e Muhammad. Comunicazioni iranistiche e islamistiche presentate al Primo Simposio Internazionale di Cultura Transcaucasica (Milano-Bergamo-Venezia, 12-15 giugno 1979), (Quaderni del Seminario di Iranistica … cit., 2) (Venezia, 1979): 15-21; J.-M. THIERRY, “Les tétraconques à niche d’angle (Étude typologique d’un groupe d’Églises subcaucasiennes)”, in Bazmavep CLVIII (1980): 124-179; G. IENI, “Il problema delle arcate cieche nell’architettura monumentale del X-XI secolo. Rapporti fra Oriente e Occidente”, L’arte georgiana dal IX al XIV secolo. Atti del Terzo Simposio Internazionale sull’Arte Georgiana, Bari - Lecce, 14–18 ottobre 1980, Volume primo, a cura di Maria Stella CALÒ MARIANI, Congedo Ed.re (Galatina, 1986): 65, n. 51. Sul concetto di ‘Armenia storica’ e per una sua corretta definizione ed uso, cfr. l’appena citato "Lo studio delle interazioni politiche e culturali tra le popolazioni della Subcaucasia", pp. 443-444.
2. Alcune simili inesattezze sono elencate, con le rispettive rettifiche, nel mio intervento dal titolo “Le Centre d’Études [et] de Documentation Arménienne[s] de Milan”, Novelles d’Arménie Magazine (N° 45, Juilet-Août 1999): 61, con riferimento ad un trafiletto apparso nel numero precedente della medesima rivista.
3. Harutiun KASANGIAN, Otto grammi di piombo, mezzo chilo di acciaio, mezzo litro di olio di ricino. Vita e avventure di un ragazzo armeno, a cura di Stefano KASANGIAN e Anahid KEHYAYAN, revisione del testo e prefazione di Antonia ARSLAN, Postfazione di Boghos Levon ZEKIYAN, Il Poligrafo (Padova 1996): 123-126. Di quella testimonianza colgo ora l’occasione per chiarire e correggere un grave refuso, che altera il significato, infiltratosi in fase redazionale, in assenza, per missione all’estero, del sottoscritto, e dovuto ancora alla radicata confusione tra il Centro, fondato nel 1976, e l’inizio delle missioni. Il primo periodo a p. 125 che inizia “Una volta mi confidò [Harutiun Kasangian]…”, e che recita nella sua parte finale “di essere stato lui stesso – nei primi anni Sessanta, allorché collaborava al Politecnico di Milano con il Professor Roger – ad aver ispirato al Centro l’idea di promuovere le missioni di studio in Armenia”, deve essere corretto così: “ad avergli ispirato”, cioè al Prof. Roger e non all’ancora inesistente Centro che verrà ideato e formato a circa dieci anni di distanza.
4. Cfr. L’Arte georgiana dal IX al XIV secolo (cit.), p. V. Sinora è uscito solo questo primo volume.
5. Cfr. “Presentazione” a Le guerre di Dawit‘ B_k. Un eroe armeno del XVIII secolo, a cura di Aldo FERRARI, Guerini e Ass. (Milano, 1997): 7-8; “Prefazione” a Gli Armeni lungo le strade d’Italia. Atti del Convegno Internazionale (Torino, Genoca, Livorno, 8-11 marzo 1997). Giornata di Studi a Livorno, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali (Pisa – Roma, 1998): pp. XI-XII.
6. Il Collegio cessò l’attività nell’estate del 1997.
7. Per informazioni sulla storia della Loggia e sul restauro si veda: Loggia del Temanza, a cura di Pinin MANOUKIAN, con una ricerca storica di Giulio IENI e coi dati tecnici sul restauro dell’ing. Giorgio TODESCHINI, (San Lazzaro – Venezia, 1991). In un saggio del 1988 Antichi Ridotti Veneziani scriveva Emanuela Zucchetta: “il casino di Ca’ Zenobio versa in condizioni di fatiscenza” (cfr. ibid., p. 21).